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Quanto costa la libertà
di stampa?

Di Gaetano Liardo il . Progetti e iniziative

«Occorre cambiare in profondità questa legge, perchè può portare alla morte di un giornale». Inizia con le parole di Roberto Morrione il convegno promosso dalla Fnsi e da Libera Informazione: “Libertà di informazione, quanto costa e a chi?”. Una platea di giornalisti, giuristi e avvocati per affrontare il tema delle “querele temerarie”. Una vera e propria minaccia nei confronti di chi fa informazione. Un indebolimento dell’articolo 21 della Costituzione. «Tutto nasce nel 1948 quando un legislatore schizofrenico azzera il dettato della Carta con la legge sulla stampa». Parole di fuoco quelle di Oreste Flamminii Minuto, avvocato che da più di cinquant’anni difende i giornalisti italiani. «La legge in vigore per le diffamazioni – aggiunge – prevede una punizione da uno a sei anni di reclusione. All’epoca per rapina a mano armata si rischiavano due anni di meno».

Dichiarazioni dure quelle del penalista romano che aggiunge: «Questo Paese non ha libertà di informazione». Una libertà che non può essere ridotta soltanto a pluralismo di fonti, ma che va “pesata” su ciò che un giornalista può e non può dire. «Ci sono norme – sottolinea Flamminii Minuto – che tutelano vari segreti e la nostra Corte Costituzionale non ha mai stabilito che il diritto ad essere informati sia superiore al diritto alla segretezza». La situazione opposta di quanto succede al Tribunale di Strasburo. Della giurisprudenza internazionale parla Vladimiro Zagrebelsky che, fino a gennaio, è stato componente togato della Corte di Strasburgo.

«L’articolo 21 della Cosstituzione itaiana – dichiara – deve essere letto contestualmente all’articolo 10 della Convenzione europea». Rafforzando, quindi, quanto stabilito dall Carta repubblicana, e superando le “schizzofrenie” della legge sulla stampa e l’informazione del 1948. Strasburgo, ad esempio, non prende in considerazione il carcere per i giornalisti. Sui risarcimenti, inoltre, respinge quelle richieste ritenute eccessive. I risaricmenti milionari che in Italia vengono di continuo chiesti a chi fa informazione non hanno riscontri a livello europeo. Come dimostra, ad esempio, la vicenda del politologo Claudio Riolo. Condannato in primo e secondo grado per diffamazione nei confronti dell’ex presidente della provincia di Palermo Musotto, ha subito il pignoramento di una parte dello stipendio. La Corte europea, capovolgendo le sentenze italiane, ha riconosciuto la sua innocenza. Nonostante l’assoluzione, e nonostante il rimborso quanto costretto a pagare, Riolo continua ad avere in busta paga la voce: sequestro e pignoramento. Un vulnus della legislazione del nostro Paese che, nonostante gli inviti della Corte Costituzionale, non è stato riempito dal legislatore.

«Come giornalista non chiedo immunità», sottolinea Milena Gabanelli. Per la direttrice di Report: «i giornalisti hanno una responsabilità enorme, possono sbagliare e possono essere sanzionati». Tuttavia, la richiesta dei risarcimenti è diventata un’arma alla tempia di chi fa informazione. A Report: «in 13 anni abbiamo avuto un numero enorme di cause civili, la maggior parte di natura intimidatoria». Non esiste, infatti, un filtro che valuti le effettive richieste di danno dalla pretesa di voler impedire al giornalista di fare il proprio mestiere. Su questo problema Libera Informazione e la Federazione della Stampa lavoreranno per indivuìiduare strumenti operativi.

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