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‘Ndrangheta made in Padania

Di Lorenzo Frigerio il . Recensioni

“’Ndrangheta padana”: è questo il titolo del nuovo libro di Enzo Ciconte che affronta il tema della presenza della mafia di origine calabrese in Lombardia. È qui il cuore pulsante della cosiddetta Padania, mitica invenzione politica del senatore Bossi che tanti fiumi d’inchiostro ha fatto versare ad opinionisti e giornalisti e che vorrebbe alludere a profili geografici, economici, e sociali, ben prima di rivelarsi per quello che è in realtà: un “non luogo” utile solo alla propaganda della Lega Nord, che ne fa uso nei momenti di crisi interna e per rilanciare il senso della sua presenza all’interno dello schieramento di centrodestra che regge oggi il Paese. Non è certo un instant book raffazzonato alla bell’ e meglio, ma solo l’ultima, preziosa, tappa di un percorso di studio e approfondimento che l’esperto storico, consulente della Commissione parlamentare antimafia dal 1997 al 2008, conduce da oltre vent’anni su ruoli, regole e ambiti d’azione di quella che, nel silenzio, è diventata oggi una delle consorterie criminali più temute al mondo. Ciconte, partendo dalla Calabria, ha seguito le orme dei boss anche in territori considerati immuni: dall’Emilia Romagna alla Lombardia, passando per altre regioni del nord, ne ha ricostruite le tecniche di insediamento, le reti di complicità e i rischi per la democrazia nel suo complesso. Si parte, nell’analisi dei fatti, proprio dall’operazione congiunta che, a metà luglio di quest’anno, le DDA di Milano e di Reggio Calabria hanno portato a termine, arrestando trecento persone e sequestrando beni alle cosche per un valore di oltre sessanta milioni di euro: il Gip Gennari l’ha definita «la più vasta operazione mai condotta nei confronti delle mafie, e della ‘ndrangheta in particolare, nella storia del Paese». Nelle pagine del suo libro, Ciconte cerca di spiegare come l’enfasi apparente in una dichiarazione simile, in realtà, abbia un suo profondo senso di verità e lo fa ricostruendo la presenza dei calabresi nella regione lombarda, risalente agli anni Cinquanta del secolo scorso. Si passano così in rassegna i guasti creati dall’istituto del soggiorno obbligato, per evidenziare poi il ruolo formidabile esercitato – in termini di accumulazione e reinvestimento illegale del capitale – dall’odioso business dei sequestri di persona (158 soltanto in Lombardia). Fino ad arrivare ai giorni nostri: ora le prime voci del bilancio mafioso sono costituite dal traffico delle sostanze stupefacenti e dall’accaparramento delle risorse pubbliche, facendo ricorso a ditte e imprenditori costretti con la violenza o lusingati dal potere rappresentato dagli uomini d’onore. In mezzo ci sono le storie di bancarottieri come Calvi e Sindona, il sacrificio civile dell’avvocato Ambrosoli e la forzata ritrosia di una classe dirigente locale ad affrontare la questione mafiosa con i dovuti strumenti, prima di tutto con il riconoscimento dell’avvenuto contagio, al contrario sempre negato, anche in tempi molto recenti. Un ruolo assolutamente negativo che ha impedito la piena comprensione del rischio criminale è stato esercitato da una lunga serie di luoghi comuni – su tutti quello per cui la mafia sarebbe affare che riguarda solo “i terun” – e di culture che, secondo lo storico, hanno reso più forti le organizzazioni mafiose, in particolare proprio la ‘ndrangheta che oggi è profondamente inserita nel tessuto sociale ed economico della Lombardia: «I suoi rampolli, quelli dell’ultima generazione, scansano le carceri e gli atti giudiziari, evitano i traffici di droga o di armi, sono laureati, parlano le lingue, comprese quelle padane, hanno costituito imperi economici, sono imprenditori, proprietari di case, bar, ristoranti, pizzerie, imprese edili, agenzie immobiliari, sono nel ramo dei rifiuti, nella grande distribuzione commerciale ed agroalimentare, nel settore del turismo o della sanità, e non disdegnano di interessarsi di quello che succede nei porti». Usura ed estorsione sono le lente spire con le quali soffocare territori ed economie e sono proprio questi soggetti, secondo Ciconte, insieme agli “uomini cerniera”, quei colletti bianchi cioè pronti a tutto, in cambio di denaro e prestigio, il pericolo più immediato non solo per la Lombardia, ma per l’intero Paese. Questo tipo di presenza, discreta ma avvolgente, si è tradotta in un controllo del territorio che assume forme e contorni diversi dalle regioni a tradizionale presenza mafiosa. Il risultato è che le mafie sono cresciute al nord, mentre al sud il contrasto in termini repressivi e militari delle cosche da parte di magistratura e forze dell’ordine ha recato più di un colpo micidiale alle organizzazioni, scompaginandone organigrammi e affari. Ciconte provoca intelligentemente anche la classe dirigente leghista per chiederle conto di quali politiche intende dotarsi per fronteggiare quello che ormai è ben più di un’infiltrazione sporadica: la mafia è ormai un problema del nord e in tale ottica va fronteggiata. Proseguendo la sua interessante trattazione, lo storico richiama anche le responsabilità delle classi imprenditoriali del nord, sia in termini di supporto cosciente e complice agli affari illeciti, sia in termini di omessa denuncia delle estorsioni subite. Per paura indotta o per connivenza interessata, in troppi hanno consentito alle cosche di allargare il raggio d’azione, in maniera del tutto indisturbata. «C’è un’evidente responsabilità – si legge nel libro – degli imprenditori. Sono loro, con il loro comportamento, ad alimentare quel sistema. Non sembra di essere in Lombardia: è come se fossimo proiettati nella Sicilia o nella Calabria degli anni Cinquanta». In particolare il settore dell’edilizia è quello che si è mostrato più permeabile alle lusinghe criminali e si analizzano le vicende recenti della Perego, definita lapidariamente “stazione appaltante i boss”. Ora dall’Alta velocità all’Expo 2015 si moltiplicano occasioni di arricchimento e guasto dell’economia locale e nazionale. Dallo studio delle carte concernenti l’inchiesta condotta dai PM Boccassini e Pignatone, vengono alla luce alcuni particolari interessanti, come le intercettazioni ambientali e le interessanti riprese video dei summit mafiosi, da quelli svoltisi nell’hinterland milanese, come quello tenutosi a Paderno Dugnano, all’interno di un circolo Arci dedicato a Falcone e Borsellino, a quelli svoltisi in terra di Calabria, dove la tradizione e la modernità della ‘ndrangheta emergono con una forza e un vigore che sarebbero più degni di un’impresa eticamente orientata, ma sono prestati viceversa all’affermazione del potere criminale. Lo storico ne è sicuro, carte processuali e ricostruzioni storiche alla mano: «Come struttura mafiosa, la ‘ndrangheta si conferma un unicum a livello mondiale, essendo la sola organizzazione ad avere più sedi: una, la principale, a Reggio Calabria, le altre – che si possono definire filiali o colonie – disseminate nelle regioni italiane e in molti paesi esteri. Da tempo sono convinto che sia la sola organizzazione mafiosa ad avere due capitali: una a Reggio Calabria, l’altra a Milano». C’è spazio poi per raccontare alcune storie significative: da quella di Carmelo Novella, il “leghista” della ‘ndrangheta, desideroso di piena autonomia per le cosche in Lombardia, a quella di Carlo Chiriaco, direttore della ASL di Pavia, ma soprattutto “l’uomo che da piccolo sognava di fare lo ‘ndranghetista”, come ha cercato di giustificarsi con gli inquirenti di fronte alle contestazioni dei capi di accusa. Ciconte arriva a trarre le sue conclusioni al termine di un approfondimento puntuale delle vicende più recenti: se è vero che la ‘ndrangheta non è uguale a Cosa nostra, occorre tener conto del fatto che la ricerca di un assetto stabile potrebbe essere un risultato non ancora conseguito, come dimostrato dai contrasti insorti tra cosche calabresi attive in Lo
mbardia e le locali originarie della Calabria. Una rivendicazione di autonomia e indipendenza in salsa ‘ndranghetista portata avanti, per ironia della sorte, proprio in quella Padania, che non esiste ma per la quale si rivendica autonomia e indipendenza. Non c’è che dire, in Italia non ci facciamo mancare proprio nulla.

Enzo Ciconte ‘NDRANGHETA PADANA
Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2010
pp. 224 € 14,00

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