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Un paese che non si deve accontentare

Di Stefano Fantino il . L'analisi



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Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma
bordello! Si potrebbe partire da qui per raccontare “Vieni via con
me”, o almeno il meglio del programma che il duo Fazio-Saviano ha
lanciato lunedì sera in prima serata, tentando di sfidare i pesi
massimi dell’intrattenimento popolare, con un risultato molto
lusighiero: 7 milioni e 600mila spettatori. Sì, iniziamo dalla
Divina Commedia, Purgatorio, canto sesto. Dante Alighieri, evocato e
non citato da Benigni, che concede un’apostrofe dura e pesante alla
sua Italia. Perché partire da qui? Il comico toscano, probabilmente
riserva la parte migliore della sua esibizione all’elogio del lavoro
di documentazione fatto da Saviano. Anzi più che di documentazione,
di diffusione pubblica di un tema, di spessore, come quello della
mafia, sia essa Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra casalese. Parla di
Saviano, Benigni, perché l’autore, un po’ impacciato gli è accanto.
Ma si riferisce a tutti coloro che, magari silenziosamente e senza
riconoscimenti, portano ogni giorno il proprio mattoncino per
costruire una coscienza civile contro le mafie. Mattoni che sono
anche picconate, crepe nel muro dell’omertà, dell’ignoranza della
convenienza. Parlare di mafie non significa glorificarle, dar loro
prestigio. Non significa infangare il paese, anche Dante, ci ricorda
il comico toscano, spese parole dure per l’Italia, visse in esilio.
Ma allora, come ora, lo spirito è quello del pungolo, dell’invito a
non guardare altrove. E non si può che ricordare quell’invettiva, e
vederla, attualizzata nel lavoro di chi vuole informare e raccontare
per aiutare a capire e reagire. Il pensiero, impossibile fare
altrimenti, corre al premier, quello che strozzerebbe chi parla di
mafia, chi infanga il Paese.

Di altro fango vuole però occuparsi
“Vieni via con me”, quello della macchina della menzogna, che, ci
racconta Saviano, attanaglia chi vuole raccontare le contraddizioni
di un paese. Eccolo uno dei temi che, dissero gli autori, aveva
bloccato il programma, con lo stop imposto da Masi. La modalità in
cui viene sviscerato non è forse ottimale: il monologo di Saviano,
peraltro forse eccessivamente lungo, pare meno efficace del solito, e
di poca linearità, col rischio di aver rinsaldato le convinzioni di
chi viaggia sulla sua stessa lunghezza d’onda, senza aver sfondato
nell’altra parte del pubblico, la grande maggioranza degli italiani.
Compito al quale dovrebbe essere deputato. Non sarebbe stato male per
un contenuto di tutto rispetto dove la “macchina del fango”, le
ritorsioni mediatiche, gli attacchi alla stampa e tramite stampa,
diventano tessere di un mosaico attualissimo. E pure antico, quando
ripercorrono le tracce della vita e della carriera di Giovanni
Falcone, anche egli, allora, come alti oggi, sotto attacco,
mistificato e diffamato, con l’intento di rendere “tutti simili,
uguali, di confondere le acque” salvo poi prestarsi a tardivi
riconoscimenti post mortem.

E il discorso si fa, o quanto meno
dovrebbe farsi, più chiaro quando Benigni, non in stato di
particolar grazia, entra nel vivo della sua performance con classiche
puntate verso il premier, pur non brillando come in altri casi, ma
pur sempre tirando in ballo il meglio della cronaca di questi giorni,
riguardante il premier, e riservandosi all’accorato appello per
Saviano qualche nota di merito, all’interno di un intervento più
sbrodolato che convinto. Forse in questo il punto debole di un
programma strutturato su due grandi monologhi, Saviano e Benigni, e
su un dialogo, quello tra Abbado e Fazio, e una serie di siparietti a
tratti anche comici ma capaci, più dell’architettura portante, di
dare vivacità e innovazione al formato televisivo. Il dialogo con il
maestro e gli interventi di passaggio parlano di precariato,
contaminazione culturale, diritti; una bella tavolozza di un’Italia
possibile e non attuale. Il merito qui è quello di introdurre temi
caldi e difficili con l’ironia e la semplicità, smorzando il tono
solenne del monologo con una frizzante spruzzata di attualità.

Difficile non essere felici di trovare
temi del genere in prima serata. Sorprende piuttosto pensare che la
gara, in un paese democratico, sia tra “Vieni via con me” e il
“Grande Fratello”, entrambi peraltro prodotti dalla Endemol.
Prima che i contenuti, comunque condivisibili, del programma, questa
sfida e il tanto plaudere, sono indicativi di uno stato comatoso
della nostra televisione, della nostra società tutta. A cui bisogna
dare ossigeno in ogni modo, sia ben chiaro, ma senza commettere il
peccato di accontentarci.

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