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Querele, un altro bavaglio?

Di Stefano Fantino e Cesare Piccitto il . Progetti e iniziative

A volte per bloccare un giornalista
non servono intimidazioni. La scelta di querelare e chiedere un risarcimento
in sede civile non solo è sufficiente, ma anche molto efficace.
Capace, infatti, di tagliare le gambe a qualsiasi testata che voglia
portare avanti un giornalismo di inchiesta. Di fronte a possibili richieste
esorbitanti anche la più agguerrita redazione potrebbe decidere per
scelte più miti. In altri contesti, magari più piccoli e meno agiati,
una richiesta del genere rappresenta una pietra tombale. La richiesta,
infatti, comportando un alta possibilità di valutazione arbitraria,
può far variare l’importo pecuniario a seconda della cultura del singolo
magistrato. Un brutto colpo ad esempio per il collega Rino Giacalone,
che a Trapani ha incrociato questa dura realtà per aver criticato 
il sindaco in merito alla revoca del conferimento di cittadinanza onoraria
per l’ex prefetto Fulvio Sodano. 50.000 di euro il risarcimento danni
alla persona chiesti dal primo cittadino di Trapani al cronista de La
Sicilia e collaboratore di diverse testate web tra cui Libera Informazione.
Non proprio bruscolini. E poi facciamo notare che oltre ai giornalisti
di frontiera il risarcimento danni è in grado di mietere vittime anche
nelle solide televisioni nazionali.  

Pensiamo a Report, uno dei
rari appuntamenti di approfondimento giornalistico televisivo, per settimane
appeso a un filo qualche mese, dato che non gli era assicurata la copertura
legale . Una spada di Damocle inquietante per un programma che lavora
molto con validi freelance esterni che non avrebbero potuto, solitari,
affrontare le probabili richieste milionarie che i loro servizi di inchiesta
si sarebbero portati dietro. Cosa che nel caso del programma di Milena
Gabanelli, è spesso accaduto. Caso emblematico quello di Mario Ciancio
Sanfilippo, editore-direttore de La Sicilia, che diede mandato ai suoi
legali «di convenire in giudizio la Rai per risarcimento danni in relazione
alla trasmissione del 15 marzo 2009». Ritenendo «diffamatorio il contenuto
della trasmissione», Ciancio chiese un risarcimento di 10 milioni di
euro. La puntata di Report era stata interamente dedicata a Catania
e si era occupata anche di Ciancio, accusandolo di imporre il monopolio
dell’ informazione sulla città etnea, di aver beneficiato di interventi
di favore da parte dell’ amministrazione Scapagnini e di essere stato
in rapporti d’ affari con personaggi in odor di mafia. Già all’ indomani
della trasmissione, Ciancio aveva scritto un editoriale sulla prima
pagina della Sicilia per sostenere che Report «ha offerto un’ immagine
distorta» di Catania e spiegare perché aveva declinato l’ invito ad
intervenire in trasmissione. Il curatore della puntata su Catania, Sigfrido
Ranucci, replica: «Ci siamo limitati a raccontare dei fatti. Inoltre
abbiamo chiesto per ben tre volte l’ intervista a Ciancio. Ci dispiace
che abbia rifiutato e abbia deciso di portare la questione in tribunale». 
Aldi là di come finì la contesa, in un nulla di fatto, il caso dimostra
come la querela può servire come strumento di intimidazione e nel caso
di risarcimento danni può portare alla chiusura di importanti realtà
giornalistiche d’inchiesta. 

Senza dimenticare quanti hanno
visto la giustizia riconoscerli colpevoli, in tre gradi di giudizi.
Claudio Riolo, ad esempio, politologo e docente universitario, condannato
perché nel ’94 criticò in un articolo la scelta dell’allora Presidente
della Provincia di Palermo, l’avvocato Francesco Musotto, di mantenere
la difesa di un suo cliente imputato nel processo della strage di Capaci
e contemporaneamente di costituire parte civile l’ente provinciale
da lui presieduto. Stranezze che portarono il calvario di Riolo fino
alla condanna in Cassazione per diffamazione, finché quattordici anni
dopo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non gli diede ragione,
in nome della violata libertà di espressione. Quella libertà che sarà
al centro di un convegno organizzato mercoledì 17 novembre alla Fnsi,
con l’aiuto di Libera Informazione: ““Libertà d’informazione.
Quanto costa e a chi?”, un incontro tra giuristi, operatori dell’informazione
e parlamentari per parlare di risarcimento civile, ennesima arma impropria
contro la libera informazione. Lavorando su due percorsi, la depenalizzazione
del reato di diffamazione e l’annullamento del risarcimento danno; 
magari tirando fuori una proposta simile a quella dell’autore Sergio
Nazzaro: difendersi da cause civili che chiedono milioni ai giornalisti.
Ma dopo essersi difesi e aver vinto, vedere applicata la sanzione pecuniaria
a chi ha citato in giudizio. Ribaltando di fatto la richiesta di denaro.
Una soluzione innovativa, per allontanarsi dall’ennesimo bavaglio imposto
all’informazione.

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