Memoria e impegno
L’Italia è tra le nazioni al mondo ad aver pagato, in termini di giornalisti uccisi, il più alto tributo alla libertà di informazione. C’era un tempo per cui raccontare la mafia al sud era un tabù, chi osava farlo pagava con la propria vita. La Sicilia è la regione d’Europa con la più densa storia di giornalismo militante e civile: ben otto giornalisti caduti nell’esercizio del loro mestiere. Cristina, De Mauro, Spampinato, Impastato, Francese, Fava, Rostagno e Alfano; non tutti siciliani ma tutte firme con la schiena dritta. Dal 1960 al 1993 osare raccontare la mafia, i suoi affari e le sue connivenze, con qualsiasi tipo di mezzo di comunicazione voleva dire andare incontro alla morte come dimostrano queste storie emblematiche.
Lavoravano solitamente in testate locali, come accadeva a Mauro Rostagno o a Peppino Impastato, indifesi e vulnerabili rimasero sconosciuti finché non subirono la violenza estrema dell’omicidio. Reporter, con una profonda passione per il mestiere, cronaca senza peli sulla lingua, senza autocensura, facendo nomi e cognomi. La più emblematica, di queste tragiche storie, è quella di De Mauro rapito, probabilmente torturato e successivamente ucciso. A distanza di quarantanni non è stato mai ritrovato nemmeno il cadavere. La mafia reagì nella stessa maniera anche fuori dalla Sicilia. Negli anni ‘80 in Campania, per le stesse dinamiche veniva colpito dalla camorra Giancarlo Siani, il giornalistagiornalista che lavorava da precario.
La criminalità organizzata contribuì alla morte di un’altra giovane reporter Ilaria Alpi, rimasta vittima di un agguato a Mogadiscio nel 1994. L’inviata del TG3 fu uccisa in Somalia assieme all’operatore Miran Hrovatin, mentre stavano indagando su un traffico d’armi e di rifiuti tossici illegali in cui probabilmente erano coinvolti, oltre alle mafie, settori dell’esercito, i servizi segreti deviati e frange della cooperazione internazionale.
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