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Minzulpop: la “fabbrica del consenso”

Di redazione il . Recensioni

Ieri sera, dopo un’estenuante trattativa, siamo riusciti a incontrare due membri del collettivo che, coperto dallo pseudonimo Hari Seldon, ha pubblicato “Minzulpop”, un saggio sullo stato dell’informazione italiana uscito pochi giorni fa nelle librerie, edito da Nutrimenti.
Non un banale pamphlet contro il TG1 minzoliniano: è, anzi, un’analisi accurata, una raccolta preziosa di informazioni, un modello di ricerca. Insomma: non è il solito instant-book, di quelli che, tra raccolte di articoli già usciti sui giornali e raffazzonate collezioni di sciocchezze e amenità, riempiono gli scaffali delle librerie da un po’ di anni a questa parte.

Per questo la curiosità era tanta, e non è stato facile vincere la resistenza degli autori: preferiscono l’anonimato, non vogliono in alcun modo apparire in pubblico né svelare la propria identità.
Hanno persino voluto stabilire il luogo e le modalità dell’appuntamento: un monolocale in Via Ludovico Pastor, una delle strade più squallide del quartiere Appio-Latino, nella semiperiferia meridionale di Roma. Ecco il resoconto (quasi) stenografico del nostro incontro.

(Al citofono) Buona sera. Sono qui per l’intervista che abbiamo concordato.

(Dal citofono, una voce femminile) Minzulpop?

(Al citofono) Sì, Minzulpop.

(Dal citofono, una voce maschile) Dopo il portone, a sinistra. Primo piano, la porta di fronte all’ascensore.

Sulla soglia, due vecchine sorridenti ci hanno fatto accomodare in un buio salottino, arredato con due divanetti in similpelle gialli e un tavolinetto di marmo su zampe leonine, il tutto illuminato da un vecchio e sbilenco lampadario a bracci d’ottone. Luce fioca e serrande abbassate. Le vecchiette si sono dissolte ciabattando nell’ombra del corridoio e subito dopo sono entrati gli autori. Non ci potevo credere! Avevano tutti e due un cappuccio scarlatto calato sulla testa: ne vedevo solo gli occhi. Però – non ci voleva un detective – una è una donna, l’altro un uomo.

Scusatemi. Ma perché questa mascherata? Avete paura?

(Donna) Senta, è molto semplice: non ci fidiamo dei giornalisti. Quindi non vogliamo apparire:   alcuni non vogliono neppure che li accosti a questi temi, altri vivono lontano si occupano di affari molto distanti… E poi il nostro lavoro deve parlare da solo. Questa, forse, è presunzione ma, se la accetta, siamo disponibili, come d’accordo. Altrimenti, arrivederci.

Va bene. Cominciamo. Qui siete in due. Ma in realtà quanti siete, dietro a Hari Seldon?

(Uomo) Siamo un gruppo eterogeneo, composto in modo stabile da sette persone. Altri tre hanno partecipato in modo episodico. Ci piace definirci come “identità inferenziale”; quasi una coscienza deduttiva… e poi, seppur indirettamente e talvolta inconsapevolmente, vi hanno partecipato decine e decine di mediattivisti, in rete. Le basta? Non potremmo parlare dei contenuti?

Perché “inferenziale”? E perché Hari Seldon?
(Uomo) Inferenziale perché l’identità è oggetto di un ragionamento deduttivo… ma non è importante, questo, mi creda. E forse nemmeno Hari Seldon è così importante…

I soliti vezzi intellettualistici della sinistra, che non sa parlare al popolo.

(Uomo) Forse ha ragione. Ma Seldon, che ha un pubblico più vasto di quanto si creda, era per Asimov l’unico che aveva memoria: è questo il punto.

D’accordo, passiamo al libro, allora. Perché un libro contro Minzolini? Ce n’era bisogno?

(Donna) Non è un libro contro Minzolini. Non è contro nessuno. È  un’analisi, che abbiamo condotto in modo accurato e il più possibile preciso, sul sistema dell’informazione in Italia. Di questo c’era bisogno: di un ragionamento pacato, fluido, documentato. Minzolini è solo un pretesto. Una variabile dipendente da molti fattori.

Sì, ma è il direttore del TG1!

(Donna) Se permette, cercherò di spiegarle il problema con una metafora: Minzolini è solo un bravo solista fra tanti orchestrali. Lui e gli altri suonatori eseguono una sinfonia, scritta da altri, per specifiche ragioni culturali e per raggiungere obiettivi politici. Noi abbiamo dedicato l’intera prima parte del libro a quello che è, oggi, il primo violino. Se posso suggerirle un ulteriore paragone, direi che Minzolini ha… o aveva un grande talento da hacker. Questa la ragione del suo successo. Chiaro?

Mica tanto. Un hacker Minzolini?

(Donna) Vede: per mettersi in mostra e per misurare la propria abilità l’hacker cerca di violare un sistema di sicurezza. Se è bravo e ci riesce commette sì, un reato, ma dimostra di essere capace di superare le barriere, di infrangere impunemente divieti, di penetrare là dove non si dovrebbe.

E dove è penetrato, scusate, Minzolini? Al TG1 ce l’ha messo Berlusconi, non è entrato di notte dalla porta di servizio!

(Uomo) Certo, ma quello è stato l’effetto, non la causa. Ricorda le interviste con scoop a Occhetto nel 1992 e a Violante nel ’94? Con quelle, e con tante altre performance, Minzolini dimostrò a tutti che, con lui in giro, nessuno poteva stare tranquillo, nel palazzo. E il palazzo, proprio come fa un’industria quando un hacker ne viola i sistemi di sicurezza, dopo un po’ di purgatorio lo ha assunto come cane da guardia: lui sa come si tutelano i sistemi di sicurezza perché è un esperto della loro violazione. Semplice, no?

Non ci avevo pensato. Il talento di saper ricostruire i retroscena, di “scippare” dichiarazioni, di rivelare i “dietro le quinte”… tutta pubblicità, autopromozione?

(Donna) Forse anche qualcos’altro. Ma è certo che la vanità gioca sempre un ruolo, in queste cose…
(Uomo) Io direi di andare oltre questo aspetto: partiamo dal dato di fatto che, per virtù o per fortuna, Minzolini è arrivato a dirigere il TG1. E che qui, come ogni bravo hacker che ha fatto il “salto della quaglia”, ha finalmente cambiato rotta, rispetto a quando affermava che “il politico non ha un privato”. Perché, al contrario, con i fatti “privatissimi” di Berlusconi si è comportato da vero e proprio censore: ignorando, nascondendo, sminuendo tutto. Non più hacker, quindi, ma guardiano. Una splendida capriola con lancio di coriandoli sotto la luce dei riflettori dell’impresario-padrone.

Ho capito, adesso. Però non gli rimproverate l’incoerenza, nel libro.

(Donna) No, noi non rimproveriamo nulla a nessuno. Ci limitiamo a constatare: è una questione di metodo.

Ma perché “Minzulpop”?

(Donna) Non è il nome dell’orchestra, è piuttosto lo stile…
(Uomo) No, scusami. Non si tratta di stile: direi piuttosto che “Minzulpop” è il nome con il quale definiamo l’attuale temperie politica italiana, è il marchio della “fabbrica del consenso”. Non per niente non è una nostra trovata: il nome, coniato sulla falsariga del MinCulPop fascista, gira in rete da un bel pezzo…

Non accusate Minzolini. Non accusate nessuno. Fate come Erodoto, che riportava le versioni contraddittorie dei miti, pur di dar conto di tutte le posizioni?

(Donna) No, noi esprimiamo giudizi, ma non diamo pagelle. A noi interessa svelare al lettore che in Italia è in moto una formidabile macchina mediatico-politica il cui obiettivo è quello di domare il consenso popolare riscrivendo continuamente la realtà. Minzolini rifiuta di illustrare le vicende di Berlusconi a Casoria – il caso Noemi – perché, lo dice storcendo la bocca, si tratta di “gossip”? Bene
, sull’altro versante Signorini, direttore di “Chi” – rivista che sul gossip si fonda – costruisce una narrazione idolatrica intorno alla famiglia del Presidente del Consiglio; Vespa apre il “suo” salotto a Berlusconi sotto lo slogan “Adesso parlo io”, perché il presidente possa rispondere alle accuse della moglie… tutto si tiene, no? Gli orchestrali suonano sempre, tra unisono e slanci in “a solo”: ma il libretto dell’opera è scritto altrove.

Leggendo il vostro libro mi è sorta una curiosità: chi è il titolare dell’archivio? Mi spiego: voi inserite nel testo una quantità notevolissima di citazioni e di riferimenti…

(Uomo) Nessun titolare, mi creda. O, meglio: tutti ne siamo titolari: i materiali che abbiamo utilizzato sono pubblici, sono tutti tratti dalla rete. Insomma: sono archiviati in Internet. Quello che scriviamo non solo è vero, ma è verificabile da chiunque abbia un po’ di pazienza. Se abbiamo avuto un merito è proprio questo: il nostro libro dimostra che chiunque abbia pazienza e volontà, attenzione e una certa predisposizione alla logica ordinativa può fare lo stesso nostro lavoro, su qualsiasi argomento di interesse pubblico.

Volete dimostrare che la rete è un fondamento della democrazia? Non è una tesi un po’ vecchia?

(Donna) La rete è un fondamento della democrazia, davvero. È  l’unica alternativa ai media mainstream, come dicono gli esperti. In rete, archiviati forse un po’ a caso, si trovano i documenti, i testi, le immagini che aiutano a capire, che permettono di ricostruire.
(Uomo) La parte difficile del nostro lavoro è proprio questa: fare ordine. Una volta individuati i materiali, occorre metterli in fila, classificarli, ordinarli. Sia in senso cronologico che dal punto di vista semantico. Insomma: abbiamo cercato di fare quello che nessuno più fa, oggi, nemmeno i sociologi: non ci siamo limitati a descrivere un fenomeno, ma lo abbiamo interpretato, analizzato, valutato.

E il risultato di tutto questo lavoro?

(Uomo) Una speranza e una testimonianza: abbiamo voluto contribuire alla riflessione collettiva su quest’immensa marmellatona che tutti ci avvolge e comprime, che cerca continuamente di mutare di segno i segnali contraddittori.
(Donna) Abbiamo fatto un po’ d’ordine, ecco. Abbiamo dato un nome a un cognome e una data alle dichiarazioni, alle battute, alle opinioi contrastanti, ai salti mortali all’indietro… Un lavoro che ci auguriamo possa tornare utile non solo in sé, ma anche come metodo e come progetto.

Minzulpop
di Hari Seldon
edizione Nutrimenti, (collana Igloo), 2010
pagine 223
€ 14,00

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