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Natasha, da Kiev col sogno di un impiego

Di Toni Mira* il . Calabria

Natasha ha gli occhi di chi in 48 anni ha già vissuto una vita intera.
Stringe tra le mani un quaderno a righe da elementari bagnato dalla
pioggia. Anche se stinte dall’acqua, si leggono ancora alcune frasi in
italiano. «Buongiorno, buonasera, signore scusate», pronuncia lei
sorridendo. Il suo primo sorriso, forse, da quando è in Italia. Natasha è
ucraina, ha una figlia di 22 anni gravemente malata in carrozzella, il
marito l’ha abbandonata da anni. Così ha deciso di partire. «Per mia
figlia», spiega attraverso una ragazza moldava.

Destinazione Napoli. Un lunghissimo viaggio in pullman. Arriva domenica mattina. È sola, non sa cosa fare. «Mi hanno detto che a Napoli lavoro non si trova. Che dovevo andare più a Sud, a Rosarno, per la raccolta delle arance. Lì c’è lavoro». Così prende il treno e a sera è nella città calabrese. Ma anche qui non sa dove andare. Non ha da mangiare. Ha finito i soldi. Passa la notte nella piccola e degradata stazione. Da sola. Poi la mattina di lunedì, col suo quaderno-dizionario stretto tra le mani, prova a chiedere aiuto. Qualcuno la indirizza ad un ufficio del comune. «L’ho trovata davanti alla porta tutta bagnata – dice un’assistente sociale –. Parlava, ma io non capivo niente. Per fortuna c’è una ragazza moldava che ci aiuta e che ha fatto da interprete».

Così Natasha racconta la sua storia. Le danno qualcosa da mangiare ma il Comune – che, ricordiamo, è sciolto per infiltrazione mafiosa ed è gestito da tre commissari prefettizi – non ha dove ospitarla. Inoltre il suo permesso di soggiorno turistico scade il 6 novembre. Poi diventerà una clandestina. Che fare?Ancora una volta è il volontariato a risolvere il problema. Mentre giriamo alla ricerca dei ricoveri degli immigrati a Bartolo, al volontario che ci accompagna arriva una telefonata. Può trovare un posto per dormire per una signora ucraina? Detto fatto. Per due giorni un letto è assicurato. Ma la Provvidenza non ha limiti. Così Bartolo trova anche un lavoro da cameriera in un paese vicino e persino un alloggio. La andiamo a recuperare all’ambulatorio per immigrati della Asl.

Una casetta malmessa, con una ripida scala d’accesso, proprio a fianco di un lussuoso studio medico privato, che ha l’ingresso dotato di scivoli per disabili: i soliti contrasti tra sanità pubblica e privata in Calabria. Natasha esce con due borsoni, gli occhi smarriti, i capelli bagnati e stropicciati. La accompagniamo da chi la ospiterà per i primi due giorni. Tanza, mamma rumena di quattro bambini, tra i 10 e i 3 anni: suo marito da tre mesi è partito per andare a lavorare in Puglia, ma non si è fatto più sentire né ha mandato soldi. Eppure Tanza apre la sua porta, offre un letto a Natasha. Che finalmente sorride.

* da L’Avvenire

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