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23 autori da non strozzare

Di Stefano Fantino il . Progetti e iniziative

Una situazione sicuramente strana e
positiva, presentare un libro del genere, dentro il Parlamento, con
la scritta Camera dei Deputati, grande e visibile. Sorprende perché
dentro alle istituzioni, nel cuore dell’attività repubblicana
italiana, “Strozzateci tutti” va a raccontare quello che una
parte della politica, nella fattispecie il premier in persona, aveva
preferito silenziare, derubricare. “Editto di Olbia” lo definisce
il curatore del volume, lo storico Marcello Ravveduto, facendo
riferimento all’espressione con cui Berlusconi, di fatto, si schierò
contro chi, in Italia, ha l’ardimento e la passione civile di
raccontare le mafie. Tutti da strozzare, per il presidente del
Consiglio. Riecheggia la dantesca pena del contrappasso nel vedere
una buona parte degli autori di questa antologia dell’antimafia,
parlarne e discuterne, nella sede democratica per eccellenza, il
Parlamento.

Uscito da poco per i tipi di Aliberti,
il corposo volume vede la collaborazione di ventitrè autori, tra
giornalisti, docenti, storici, operatori della comunicazione o
semplici attivisti, capaci di analizzare da plurime prospettive il
tema mafia, dimostrando di non voler infangare l’Italia ma di tenere
loro stessi all’integrità del Paese, proprio per aver avuto il
coraggio di raccontare, come ha ricordato nella presentazione
Ravveduto. «Storie non banali e non comuni, capaci», come ha
sottolineato Marino Sinibaldi, «di dare voce al territorio e alla
teoria, mettendo in campo quello che spesso manca nel giornalismo,
ovvero la testimonianza e la competenza». E rispondere significa
uscire da un isolamento cui si è condannati da una presa di
posizione come quella del premier, un’ammonizione che di fatto
scredita davanti all’opinione pubblica il lavoro faticoso di chi sa
per certo che scrivere e discutere sono segni di pungolo e rivolta e
non certo un modo di denigrare il paese. Molto più avvilente e
sicuramente discutibile è il dover palleggiare il telecomando tra le
ammiraglie, pubbliche e private, alla ricerca di qualcosa di diverso
dall’ennesimo, morboso, speciale su questo o quel delitto. «Esaltare
un delitto privato è un uso politico della cosiddetta macchina della
paura» rimarca Giulietti, deputato e animatore di Articolo 21,
invitando invece a scovare le storie tra le pagine dell’antologia:
storie di rinascita, storie di lotta, memoria che affiora tra le
righe. Ce ne sarebbe da riempire interi palinsesti, come ha ricordato
anche il presidente del sindacato Fnsi, Roberto Natale, lamentando
l’eccessivo spazio che sempre i soliti delitti trovano a scapito di
ciò che di importante, fatica a trovare anche minuscoli ritagli
sulla carta stampata.

Nelle pagine del volume si analizza, in
maniera globale, come la società si pone nei confronti delle mafie,
«ricostruendo straordinarie testimonianze ma con evidenti funzioni
pratiche» ricorda Roberto Morrione, direttore di Libera
Informazione. Una implicazione è subito lì, dietro l’angolo. A
volte per parlare di mafie si è costretti a esporsi a querele, e
richieste di risarcimento civili, difficilmente sopportabili da
giornalisti, magari free lance, che non hanno possibilità di
difendersi. Morrione lancia così un tema che importante: il 17
novembre si svolgerà presso la FNSI, grazie al supporto di Libera
Informazione, un convegno in cui si discuterà di risarcimento danni
e indennizzo civile. Lavorando, dice Morrione, su due percorsi, «la
depenalizzazione del reato di diffamazione e l’annullamento del
risarcimento danno», sui quali sono chiamati a confrontarsi
giornalisti introdotti da colleghi, una su tutte Milena Gabanelli,
che vivono situazioni di questo tipo. Magari tirando fuori come
proposta qualcosa di simile a quanto detto da Sergio Nazzaro, anche
lui uno degli “autori da strozzare”: difendersi da cause civili
che chiedono milioni ai giornalisti. Ma dopo essersi difesi e aver
vinto, vedere applicata la sanzione pecuniaria a chi ha citato in
giudizio. Ribaltando di fatto la richiesta di denaro.

Non dimentichiamo come gran parte delle
critiche, delle cause, vengano imbastite da politici contro
giornalisti. Ma, è giusto ricordarlo, non tutta la politica vede
nell’antimafia un modo di insozzare il Paese. Giulietti prima, Angela
Napoli poi, hanno ribadito la profonda necessità di un modo serio e
radicale di fare antimafia. «Che non sia usata come paravento» dice
la deputata di Fli, profondamente contraria all’uso di espressioni
mirabolanti in campo di lotta alla mafia, con arresti e sequestri,
quando i nodi non vengono però al pettine. Nodi, veri, rapporti con
la politica, con l’imprenditoria. Lo ricorda con veemenza la
componente della Commissione Antimafia, ricordando che quando si è
parlato di codice etico, si è visti, purtroppo, sempre disattesi i
termini previsti, dimostrando quanto ancora lunga sia la strada che
la politica deve compiere su questo terreno. Un’opinione condivisa
anche da Raffaele Cantone, già pm antimafia a Napoli: «Si parla di
mafia solo come risultati, come arresti, bravi i magistrati quando
arrestano Setola e quando gli stessi parlano di Cosentino diventano
incapaci?» tuona il magistrato napoletano. Sembra che le mafie siano
oggetto di discussione quando si parla delle ultime file, quando
arriva la politica, l’imprenditoria, tutto tace. In Commissione
Antimafia Pisanu ha fatto riferito ad alcune candidature evitabili,
non in linea con il codice etico approvato dalla stessa Commissione.
«Non ci basta sapere che ci sono dei casi- continua Cantone-
vogliamo i nomi». Giornalisti, magistrati, politici, alla ricerca di
un profondo modo di intendere la lotta alla mafia. All’interno del
Parlamento, novembre 2010. A costo di essere “strozzati”.

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