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Catania, mafia e politica nel mirino del Ros dal 2005

Di redazione il . Sicilia

Le accuse andavano già dall’ associazione mafiosa agli omicidi, alle estorsioni, al riciclaggio e alla turbata libertà degli incanti. In manette finirono boss di primo piano e “picciotti”, ma furono coinvolti anche politici, dirigenti e tecnici delle amministrazioni locali.Gli affari della mafia con la complicità della politica partono da lontano nel tempo e si concentrano inizialmente sui piccoli appalti per poi passare a gli affari più grossi. Lo scoprirono i carabinieri del Ros già nel 2005. Decine gli episodi che misero ancora una volta in luce lo stretto legame tra mafia, politica e affari, fecero scattare in mezza Sicilia un’ operazione con 83 ordinanze di custodia cautelare. Le accuse andavano dall’ associazione mafiosa agli omicidi, alle estorsioni, al riciclaggio e alla turbata libertà degli incanti. All’epoca finirono agli arresti domiciliari un consigliere provinciale di Catania, Salvino Maria Fagone, esponente di Forza Italia e già, sindaco di Palagonia, il deputato regionale di Alleanza Nazionale, Gino loppolo, che venne indagato per voto di scambio per episodi legati alla sua elezione all’Ars, nel 2001.  Salvatore Fagone avrebbe avuto «rapporti organici con esponenti della criminalità organizzata di Catania e Caltagirone».

Entrambi i politici furono successivamente prosciolti. Tra gli arrestati ci furono anche un funzionario e un consulente esterno del comune di Catania, per la vicenda dell’appalto «ritardato» per l’aula consiliare di Palazzo degli Elefanti, una trattativa privata da 44 mila euro. Da qui è partito il troncone d’inchiesta dedicato ai piccoli appalti, quelli che non sono sottoposti a particolari controlli. Si è scoperto che potevano essere «liberi»o «inter nos», come è emerso dalle intercettazioni. Ovvero, i primi erano regolarmente pubblicati, gli altri invece erano cosa per pochi intimi, seguivano strade per nulla legali e finivano probabilmente ad un cartello di aziende. Una delle ditte che vinceva regolarmente questi piccoli appalti, compreso quello per l’aula consiliare, era la Imseco, ufficialmente di proprietà di Orazio Grimaldi, tra gli arrestati, che «era socio di fatto di Giuseppe “Enzo” Mangion, esponente di spicco del clan Santapaola», come hanno spiegato gli investigatori. L’inchiesta del Ros, coordinata dalla procura antimafia di Catania, permise di disegnare l’attuale struttura di Cosa nostra nella Sicilia orientale con le «famiglie» della provincia di Catania, Messina, Caltanissetta e Enna, ha ricostruito decine di episodi di sangue e fermato progetti di morte che stavano per essere organizzati. Nella rete del blitz cadde il presunto boss di Caltagirone, Francesco La Rocca. Dalle intercettazioni emergono suoi contatti con Rima e Bagarella e con il superlatitante Provenzano. In una conversazione intercettata dai Ros La Rocca parlò anche della strage di Capaci: «A Falcone lo poteva fottere quando voleva per fare succedere cose brutte – dice, sprezzante – Era un cornuto che se lo meritava». Tra gli arrestati ci fu anche Sebastiano Rampulla, fratello di quel Pietro che procurò l’esplosivo per la strage di Capaci e al quale l’ordinanza fu notificata in carcere.

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