Sintesi dossier “Agrumi d’oro”
Non è la prima volta che Enzo Sindoni rimane coinvolto in indagini relative a presunte truffe nel settore agrumicolo. Anzi, da quando a soli 28 anni diventa amministratore delegato dell’UPEA, resta coinvolto molto spesso in questo genere di inchieste. Va detto comunque che, grazie ad intervenute prescrizioni dei reati, è riuscito sino ad oggi a non riportare condanne penali definitive.
La prima indagine che lo vede coinvolto riguarda le campagne agrumicole 1991/92; 1992/93; 1993/94. L’inchiesta era “Limoni d’Oro” e riguardava una truffa all’AIMA per un importo complessivo di 7 miliardi e 900 milioni di lire. Dopo lunghe indagini ed un altrettanto interminabile processo che si concluse nel luglio del 2006, il Tribunale di Patti dichiarò Sindoni colpevole di appropriazione indebita pluriaggravata continuata in concorso e di alterazione continuata in concorso di n. 13 assegni, e per questo lo condannò alla pena di 2 anni e 5 mesi di reclusione. La Corte di Appello di Messina, però, il 10 dicembre 2008, visto il tempo trascorso dalla consumazione del il reato, ne dichiarò l’estinzione per sopravvenuta prescrizione. Sindoni, comunque, venne condannato a risarcire la parte civile e al pagamento delle spese processuali. Una nuova indagine prese le mosse dalla denuncia di alcuni componenti del CDA dell’UPEA, i quali avevano presentato una denuncia contro ignoti dopo che si erano visti recapitare avvisi di pagamento di fideiussioni scadute per circa 800 milioni di lire. Gli inquirenti scoprirono che Sindoni, con la complicità del personale dell’agenzia della Banca Commerciale di Capo d’Orlando, aveva falsificato le firme di alcuni componenti del consiglio d’amministrazione per garantire un contratto di locazione finanziario tra la Comit leasing e l’UPEA.
All’udienza preliminare si costituirono parte civile anche alcuni ex componenti del CDA dell’UPEA, ma questi, successivamente, ritirarono le loro denunce accettando un accordo risarcitorio con lo stesso con Enzo Sindoni. Pertanto il processo proseguì senza le parti civili. Il 2 ottobre 1998 il Pretore di Naso, Raffaele Ferraro, condannò Enzo Sindoni per truffa e falso in concorso e gli inflisse la pena a 9 mesi di reclusione. Poi, nel settembre 2001 venne tratto in arresto, su mandato della Procura di Palmi che lo aveva accusato di truffa (per un importo di circa 6 miliardi di lire) perpetrata nel periodo 1997 – 1999. Ma , in relazione a tale vicenda Sindoni venne poi prosciolto. Nel novembre 2008 è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Patti per associazione a delinquere finalizzata alla truffa (per un importo di 14 miliardi di lire) sempre ai danni dell’AIMA perpetrata, secondo l’accusa, nel periodo 1999 – 2001. Il processo è in corso, ed anche in questo caso è probabile che venga dichiarata la prescrizione dei reati. Prima di questo ultimo arresto, sempre su indagini della Guardia di Finanza e su richiesta della Procura della Repubblica di Siracusa, nell’aprile del 2008 Sindoni era stato tratto in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla truffa (importo 4 milioni e 600 mila euro fatti avvenuti tra il 2002 e il 2006). Secondo indiscrezioni, l’accusa di associazione è venuta a cadere e la posizione di Sindoni sarebbe stata stralciata con l’invio degli atti alla Procura di Patti per competenza territoriale. Insomma una carriera lastricata di indagini e processi che comunque, a quanto pare, non ha ancora scalfito la fiducia riposta in lui da molti concittadini.
“Limoni d’oro”
Nel luglio 1994, Enzo Sindoni era Amministratore Delegato dell’UPEA. Alcuni componenti del CDA denunciarono numerose presunte irregolarità o comunque di situazioni pregiudizievoli di cui non erano stati portati a conoscenza (pesante indebitamento anticipi ad alcune cooperative a discapito di altre, ecc), fatti per i quali si rivolsero all’autorità giudiziaria. Dalle indagini riguardanti i bilanci contabili relativi agli anni ’92, ’93 e ’94, ed in particolare dalle consulenze bancarie e contabili espletate su mandato del P.M. Roberto Arata, emergeva un consistente movimento di assegni circolari per un valore globale di circa 8 miliardi di lire.
Gli assegni, ciascuno di importo inferiore a 20 milioni di lire, erano stati emessi dall’UPEA in favore di soci, ma in realtà i supposti beneficiari non ricevevano né gli assegni, né l’equivalente somma di denaro. Prendeva così corpo l’inchiesta denominata “Limoni d’Oro”. Una parte consistente di questi assegni circolari emessi dall’UPEA (116) furono, secondo l’accusa, incassati da un certo Giovanni Sindoni di Barcellona Pozzo di Gotto, ritenuto dagli inquirenti in stretti contatti con la malavita organizzata della città del Longano e indicato dal collaboratore di giustizia Maurizio Avola quale mandante dell’omicidio Beppe Alfano (ucciso l’8 gennaio 1993). Il giornalista sarebbe stato ucciso, secondo quanto riferì Avola ai magistrati, perché aveva scoperto le truffe relative alle sovvenzioni in campo agrumicolo realizzate, in quegli anni, da Giovanni Sindoni. L’indagine sulle dichiarazione di Maurizio Avola venne poi archiviata. Altri assegni circolari (56) vennero incassati da Catalano Antonino e dalla figlia Catalano Domenica, entrambi di Taurianova, ma residenti a Gioia Tauro, già implicati in truffe ai danni cella CEE. Ad Enzo Sindoni, tra le altre cose, veniva contestata l’appropriazione di un’ingente somma di denaro, pari a £ 455.700.000; appropriazione consumata attraverso l’incasso di trentuno assegni circolari emessi dalla UPEA ed a lui intestati, il cui importo, secondo la tesi accusatoria, non trovava giustificazione contabile nell’ambito della gestione dell’UPEA e nei rapporti della stessa con le altre cooperative alla stessa associata. Gli inquirenti sentirono tutte le persone intestatarie degli assegni circolari emessi, ma nessuno degli interessati affermò di aver mai visto tali assegni e di non aver mai ricevuto le somme in esse indicate. Come evidenziò il P.M. “risultavano di regola beneficiari di assegni per importi tra £ 15.000.000 e £ 20.000.000, persone che in una annata percepivano al massimo £ 1.500.000”, cioè gli importi degli assegni erano assolutamente sproporzionati rispetto all’effettiva capacità di conferimento dei soci beneficiari.
A seguito di questa indagine, nel luglio 1996, vennero arrestati Giovanni Sindoni, Antonino Catalano e la figlia Domenica per ricettazione di assegni, mentre con l’accusa di falso in bilancio, appropriazione indebita e falsità in titoli, venne applicata la misura interdittiva prevista dall’art. 290 c.p.p. (divieto di esercitare i rispettivi uffici direttivi delle due aziende) nei confronti di Enzo Sindoni ed altri componenti del CDA dell’UPEA e del PAC.Dopo che il G.U.P. presso il Tribunale di Patti, con decreto del 12 dicembre 1998, disponeva il giudizio nei confronti di Sindoni Roberto Vincenzo + 19, il processo di primo grado scaturito dall’inchiesta denominata “Limoni d’oro” ebbe inizio solo nel novembre del 2000, dopo vari rinvii per impedimento di alcuni imputati e dei loro difensori. Lungo e tormentoso risultò lo svolgimento del dibattimento nel corso del quale, mutando la composizione del Collegio, per ben tre volte è stata disposta la rinnovazione del dibattimento. Nell’Ottobre 2004, dopo tre anni e sette mesi, e dopo 22 udienze, il processo doveva ricominciare dall’inizio perché era mutata la composizione del Collegio. Nel luglio 2006, dopo sei anni e nell’imminenza della prescrizione dei reati, viene emessa la sentenza: Enzo Sindoni è riconosciuto colpevole di appropriazione indebita pluriaggravata continuata in concorso e di alterazione continuata in concorso di n. 13 assegni e pertanto condannato, tenuto conto della continuazione del reato, alla pena di 2 anni
e 5 mesi di reclusione; Giovanni Sindoni (2 anni e 5 mesi) e Dante Caracciolo (2 anni e 3 mesi) sono condannati per ricettazione continuata in concorso per aver acquistato o comunque ricevuto 128 assegni circolari per un importo di oltre 2 miliardi di lire. Per lo stesso reato sono condannati Antonino Catalano (2 anni e 5 mesi) e Domenica Catalano (2 anni e 3 mesi), Diego Nava (2 anni e 1 mese), Paolo Chirico ( a 1 anno e 4 mesi), con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Tra gli imputati, risultava anche un certo Antonino Scarpari, fratello di Giuseppe entrambi di Varapodio (Cosenza), condannato quale mandante dell’attentato dell’8 gennaio 2002 contro Luciano Milio. Scrivono i Giudici del Tribunale di Patti, nelle motivazioni della sentenza di primo grado a carico di Sindoni Roberto Vincenzo: che “a seguito dell’istruttoria dibattimentale svolta, sia emersa la penale responsabilità dell’imputato solo relativamente ad alcune delle condotte contestate nel capo di imputazione”. Dei 31 assegni incassati da Enzo Sindoni per un importo di quasi mezzo miliardo delle vecchie lire contestati dall’accusa, “solo” su 13 di essi, secondo il Tribunale, è emersa la responsabilità penale dell’imputato, mentre “è stata comunque accertata la sua responsabilità relativamente all’indebita appropriazione di oltre £ 110.000.000 ai danni dell’UPEA e della PAC.” “In ordine a tali condotte delittuose, per le quali è stata ritenuta la penale responsabilità dell’imputato, ritiene il Collegio che sussistano entrambe le circostanze le aggravanti contestate allo stesso.Relativamente alla circostanza aggravante di cui all’art 61 n. 11 c.p., si è già evidenziato il ruolo centrale che il Sindoni ha rivestito nell’ambito dell’UPEA, quale amministratore delegato, ed in alcune delle cooperative alla stessa associate, quali la PAC, della quale il Sindoni era il Presidente; avvalendosi di tale posizione l’imputato ha potuto con estrema facilità porre in essere le condotte delittuose contestategli, ordinando l’emissione, come si è visto, di assegni circolari da parte dell’UPEA intestati fittiziamente a soci di cooperative associate alla stessa e, di fatto, girate tramite false sottoscrizioni e portati all’incasso da terzi ovvero dallo stesso Sindoni o da altri amministratori dell’UPEA; titoli che, contabilmente, risultavano essere stati emessi a favore delle cooperative e, conseguentemente, corrisposti ai soci intestatari, i quali, tuttavia, escussi in dibattimento, hanno disconosciuto le proprie firme apposte sul retro dei titoli per girata. E’ evidente, dunque, come l’imputato abbia commesso i fatti addebitatigli abusando delle qualifiche rivestite nell’ambito societario e dei poteri ad esse connessi.
Sussiste, inoltre, anche l’altra circostanza aggravante contestata, avendo la condotta del Sindoni procurato all’UPEA nonché alla cooperativa PAC un danno patrimoniale di notevole ammontare: se pur infatti non è stata riconosciuta la penale responsabilità dell’imputato relativamente all’indebita appropriazione del complessivo ammontare contestato (£ 455.700.000), è stata comunque accertata la sua responsabilità relativamente all’indebita approvazione di oltre £ 110.000.000 ai danni dell’UPEA e della PAC.” (pag. 39 – sentenza Tribunale di Patti dell’8 Luglio 2006). “Tenuto peraltro conto del ruolo centrale rivestito dal Sindoni nell’ambito della presente vicenda, già evidenziato precedentemente, della posizione assolutamente dominante da lui rivestita nell’ambito non solo dell’UPEA ma anche di alcune delle cooperative ad essa associate, nonché dei precedenti penali dello stesso (condannato per delitti di ingiuria e diffamazione), risultanti dal casellario giudiziario, ed in difetto di elementi di segno contrario, ha ritenuto il Collegio di non concedere all’imputato le circostanze attenuanti generiche.” (pag. 41 idem) “Come già evidenziato, le condotte appropriative di cui al capo precedente venivano poste in essere dagli amministratori dell’UPEA tramite l’emissione di assegni, apparentemente intestati a singoli soci di cooperative associate all’UPEA, dagli stessi girati (tramite girate fittizie) o agli stessi amministratori ovvero a soggetti estranei sia all’UPEA che alle cooperative, che si trovavano comunque in contatto, come verrà in seguito esaminato, con l’UPEA (Sindoni Giovanni e Catalano Domenica). Alcuni di tali assegni, la cui firma di girata è stata disconosciuta dai soci intestatari, forma oggetto del reato di cui al capo d) della rubrica. Ciò posto, in ordine a tutti gli assegni elencati nel capo di imputazione, relativamente ai quali è stata contestata la falsità della firma di girata da parte degli originari prenditori, ad eccezione di quello intestato a Pizzino Vincenzo emesso in data 09/07/1993, manca la condizione di procedibilità, essendo stata rimessa la querela da parte dei beneficiari, la cui firma risultava apposta falsamente.” (pagg. 59-61 idem). “Con riguardo all’assegno dell’importo di £ 19.000.000, intestato a Pizzino Vincenzo, si osserva che quest’ultimo, escusso come teste all’udienza 07/03/2003, ha dichiarato di far parte di una società cooperativa alla quale conferiva i propri prodotti ortofrutticoli; ha disconosciuto la firma apposta sull’assegno dell’importo di £ 19.000.000, di cui al capo di imputazione, mostratogli dal P.M. in udienza, affermando di non aver mai ricevuto importi così elevati quale corrispettivo dei prodotti da lui conferiti; successivamente, essendo mutata la composizione del Collegio, il teste Pizzino, a causa delle sue precarie condizioni di salute, è stato escusso presso la sua abitazione in data 31 marzo 2006. Ritiene il Tribunale che, relativamente al reato di falso di cui agli artt. 485 e 491 c.p. avente ad oggetto la falsa apposizione della firma di Pizzino Vincenzo, quale girante, sull’assegno allo stesso emesso in data 9.07.1993, la responsabilità penale debba essere riconosciuta in capo a Sindoni Roberto Vincenzo. Come già ampiamente esaminato relativamente al capo di imputazione precedente, ritiene il Collegio che sia dimostrata l’irregolarità nella gestione contabile dell’UPEA, caratterizzata dagli ingiustificati flussi di denaro dall’Associazione alle singole cooperative ed alle industrie di trasformazione, nonché da un giro di assegni assolutamente anomalo tra le predette società, assegni che, per la gran parte, risultavano falsamente intestati a soci delle singole cooperative e poi girate a terzi tramite false girate.(…). All’esito del dibattimento, è stata dimostrata la penale responsabilità del Sindoni che, quale amministratore delegato dell’UPEA, ha provveduto ad ordinare all’istituto di credito l’emissione del titolo, indicando il relativo – fittizio – intestatario e delegando poi al ritiro.” (pagg. 64-65 idem).
Nel dicembre 2008 si conclude anche il processo di secondo grado dinnanzi alla Corte di Appello di Messina. La sentenza del 10.12.2008, a parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Patti nel 2006, ha stabilito di “non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti perché estinti per prescrizione. Conferma nel resto e condanna Sindoni Roberto Vincenzo alla rifusione in favore della parte civile (Pizzino Vincenzo, nda). E’ opportuno sottolineare che a seguito delle impugnazioni proposte dai difensori di Sindoni e quelle degli altri imputati, la Corte d’Appello di Messina non ha potuto far altro che dichiarare i reati estinti per pervenuta prescrizione, “già maturatasi per tutti i reati ancor prima che il fascicolo fosse trasmesso a questa Corte”, ma ha negato a Sindoni e compagni i benefici dell’art. 129 cpv. c.p.p. (in sostanza l’assoluzione) in quanto, scrivono i giudici nella sentenza, “gli elementi probatori acquisiti nel dibattimento di primo grado non consentono di ritenere evidente la non colpevolezza degli imputati, sicché non può perven
irsi ad una sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129 cpv. c.p.p.”.
* Ulissenews – E. Buontempo
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