Testimoniare legalità
Un anno fa Libera organizzò gli Stati Generali, dove fra gli altri temi, si discusse approfonditamente dei “testimoni di giustizia”, nell’ambito della sessione intitolata “Per una domanda di giustizia”. Una categoria debole, quasi dimenticata, che vive una condizione di marginalità e di paradosso, da un lato avanguardia della legislazione antimafia, dall’altro lato dolente appendice della più fiscale burocrazia.
Un esempio è che al testimone di giustizia, inteso come terzo rispetto al fatto addebitato, cioè testimone in senso soggettivo, non sembra applicabile la disciplina del cd. “verbale illustrativo della collaborazione”. Lo si desume dal testo dell’art. 16 quater, comma 3, della legge n. 45 del 2001, che rinvia ai commi 1 e 2 del medesimo articolo, dove sono specificati espressamente alcuni tipi di informazioni che deve contenere il verbale, fra cui non si menzionano quelle rese dal testimone di giustizia. D’altra parte, nel capo II della legge di riforma, richiamato dal comma 1 dell’art. 16 quater, non vi è alcun rinvio alla disciplina del verbale illustrativo. Qualche dubbio residua perché in quest’ultima disposizione (art. 16 quater, comma 1), compare la dicitura “persona che ha manifestato la volontà di collaborare”.
Tuttavia, l’interpretazione sistematica tende ad escludere che nell’ipotesi di testimone di giustizia sia imposta la redazione del verbale illustrativo della collaborazione, dal momento che tale verbale fa insorgere una serie di benefici che sono incompatibili con la figura del testimone (benefici penitenziari, e circostanze attenuanti per es.). Inoltre, se le dichiarazioni del testimone possono anche prescindere dal carattere di novità o completezza e notevole importanza, non si comprende perché dovrebbero essere consacrate in un verbale illustrativo della collaborazione. L’art. 16 sexies, comma 1, del d.l. n. 8 del 1991, prevede che, quando si procede all’esame del collaboratore quale testimone oltreché quale persona imputata di reato connesso, il giudice dispone l’acquisizione al fascicolo del p.m. del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione. Però l’uso della parola testimone, in questa norma, deve intendersi come espressione riferita al tipo di dichiarazione (accusatoria contra alios) non alla categoria processuale che assume la persona. Questa tesi è stata recepita dalla sentenza Bertuca del 2002.
La Corte di cassazione ha, altresì, successivamente ribadito, nella sentenza Aparo del 2008, che il termine di giorni 180 dall’emersione della volontà di collaborazione non si applica ai testimoni di giustizia, ai quali è estraneo il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione. Ebbene, nonostante questi pronunciamenti, la Commissione centrale continua a richiedere ugualmente il verbale illustrativo.
Si è detto incisivamente che si dovrebbero sradicare dal territorio i mafiosi non i cittadini onesti che collaborano con la giustizia, che si dovrebbe garantire al testimone di giustizia lo stesso tenore di vita di cui fruiva prima, oltre al reinserimento nel tessuto sociale ed economico, come una forma di risarcimento per i danni subiti dall’interruzione brusca delle attività economiche. I testimoni di giustizia attraversano trasversalmente tutte le categorie sociali ed economiche, i commercianti, gli imprenditori, e sono doppiamente vessati prima come operatori economici, devono pagare il pizzo, poi come attori del processo penale, spesso vengono trattati più come imputati che come testimoni.
Si è ipotizzato che, quando vi siano elementi di intimidazione ambientale, il teste possa solo segnalare e non denunciare i reati e i loro autori, in altri termini che il teste rimanga sconosciuto o quantomeno secretato. Il problema si pone con serietà, ma le soluzioni finora invocate sono apparse poco efficaci. Infatti, se si prevedono forme di protezione del teste e anche l’applicabilità della disciplina della videoconferenza, il problema viene risolto solo sul piano processuale, non su quello sociale, dove invece andrebbe trovata la vera via d’uscita. Se si ammette la secretazione, la fonte di prova è sottratta al confronto con l’imputato.
Se si ipotizza la segnalazione e non la denuncia, si elimina dal campo processuale un elemento di prova che potrebbe rivelarsi prezioso. L’incriminazione a tappeto, per reticenza o per favoreggiamento, ineccepibile da un punto di vista tecnico, non solo non riuscirebbe a far parlare i soggetti coartati, perché l’effetto intimidativo della pena non è detto che possa sovrastare quello della criminalità, in talune zone del nostro Paese, ma soprattutto creerebbe disparità di trattamento tra chi non parla per scelta deliberata e per collusione e chi non parla, invece, perché vuole soltanto avere un rapporto non conflittuale con la mafia ed evitare danni alla sua attività economica. Inoltre, l’imprenditore sarebbe doppiamente penalizzato. Improponibile la scriminante dello stato di necessità, problematica e discussa la scusante dell’inesigibilità di un diverso comportamento. Suggerire incentivi economici o sgravi fiscali per chi rende dichiarazioni accusatorie, è possibile ma così non si tocca il nodo della questione, che è nel sociale.
Quindi, ben vengano le iniziative come quella di Confindustria Sicilia prima e di Confindustria dopo, cioè l’espulsione dalla comunità degli imprenditori di coloro che pagano e non denunciano, un ostracismo che vale il recupero di una dimensione di dignità.
In un articolo sul Corriere della Sera apparso nel Luglio del 2008, vennero elencate una serie di criticità dell’area dei testimoni di giustizia, quali l’impossibilità di avere un lavoro, l’assegno di mantenimento circoscritto a 1.000/1.600 € al mese, medicine rimborsate al 50%, scarso riconoscimento se non impossibilità di riconoscimento del danno biologico ed esistenziale, nessun programma di previdenza sociale, non sempre rimborso della vacanza annuale, affitto dell’abitazione pagato dallo stato, ma non acqua, luce, gas, tassa sui rifiuti ed ICI, a carico del testimone, nelle località segrete spesso vengono lasciati soli, senza ronde e scorte, il cambio di generalità su 67 testimoni è stato riconosciuto solo 28 volte, erogazioni di mutui a tassi superiore, per la sussistenza di rischi, talvolta in qualche scuola si è visto rifiutare l’iscrizione, perché pericolo per i compagni, documenti di copertura incoerenti, nel senso che c’è un nome diverso nel libretto sanitario, nella patente e nella carta di identità.
Credo che alla base di tali criticità ci sia un duplice ordine di causa, da un lato la tendenza anche talora solo inconsapevole di una equiparazione dei testimoni di giustizia agli appartenenti alla criminalità organizzata e ai collaboratori di giustizia, dall’altro lato una visione amministrativa e burocratica delle esigenze di protezione e di assistenza. Bisogna uscire da questa logica e definire i contorni della figura del testimone di giustizia come un promotore, un fautore, un portatore di giustizia.
Nel decreto attuativo 161 del 2004, all’art. 12 si prevedeva la disciplina per i testimoni di giustizia, con l’inserimento, nel comma 5, di un’importante e innovativa disposizione, secondo la quale la Commissione centrale, periodicamente, di propria iniziativa o su richiesta degli interessati, incontra i testimoni di giustizia, per verificarne esigenze e per individuare le soluzioni più adeguate. La norma viene a colmare una lacuna della fonte primaria e garantisce di evitare che il testimone di giustizia possa essere in qualche misura “dimenticato” dalla struttura della protezione, giacché la sua condizione costituzionale di isolamento in qualche caso ha potuto ingenerare l’equivoco che, dopo l’utilizzazione processuale, il testimone fosse abbandonato a se stesso. Ma da questa norma, che pure esiste, non è derivat
a alcuna particolare attenzione alle problematiche del testimone di giustizia.
Nella Relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia del 2006, la situazione complessiva dei testimoni e collaboratori di giustizia venne plasticamente sintetizzata con una frase ad effetto: “testimoni di giustizia: una risorsa umiliata, collaboratori di giustizia: un’opportunità perduta”, sulla scia di alcune audizioni fra cui quella dell’imprenditore MASCIARI.
Si tratta, quindi, di attuare le 15 proposte suggerite dalla Commissione parlamentare antimafia nella relazione del 2008, fra cui spicca quella di ampliare il ricorso all’utilizzo della videoconferenza e al telesame, accolta solo da recente con la legge 136 del 2010.
Ma soprattutto, occorre lavorare nel sociale perché si diffonda sempre di più la cultura della collaborazione, la coscienza civica di partecipare all’interesse collettivo, perché solo se si è parte di una generalità che vuole debellare le mafie, è possibile giungere a questo obiettivo. Quindi, occorre diffondere i modelli virtuosi, emersi nella società civile come quello di Libero Grassi e tanti altri o i modelli normativi, di cui spesso non si parla.
Nella Regione Siciliana, l’art. 4 della l. reg. 20.11.2008, n. 15 impone alla Regione di costituirsi parte civile in tutti i processi di mafia per fatti verificatisi nel proprio territorio. E’ una legge molto importante, come importante è il contributo delle associazioni antiracket, prima durante e dopo le indagini e il processo.
Di vitale importanza è la nuova norma del pacchetto sicurezza di cui all’art. 2 n. 19 della l. che ha modificato l’art. 38 del codice degli appalti, che introduce un’ulteriore causa di esclusione dalle gare di appalto, cioè la mancata denuncia di fatti estorsivi subiti all’autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (cioè lo stato di necessità, l’adempimento del dovere o l’esercizio di un diritto), e la circostanza deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di vigilanza per i Lavori pubblici.
* Procuratore della Repubblica a Caltagirone (Ct)
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