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Spatuzza: tra mafia e Stato senza sconti

Di Lorenzo Frigerio il . Sicilia

Tornerà inevitabilmente sotto i riflettori, il prossimo 2  dicembre,
quando deporrà – verosimilmente in videoconferenza per problemi di
sicurezza – nel processo per il sequestro e l’uccisione del piccolo
Giuseppe,  figlio del collaboratore Santino Di Matteo. Il ragazzo fu
tenuto in catene per 779 lunghi giorni, prima  di essere brutalmente
strangolato e  sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996.  Il gruppo dei
sequestratori, guidati da  Giovanni Brusca, puntava a far recedere il
padre dal mettere a verbale i   segreti della strage di Capaci, ma le 
pressioni non servirono: l’ex uomo  d’onore continuò a parlare e il
figlio  undicenne andò incontro ad una fine  orribile.

Gaspare Spatuzza ormai da  tempo ha accusato dell’atroce delitto  sé stesso e altri mafiosi, tra cui i boss  Giuseppe Graviano e la “primula rossa” di Cosa Nostra, Matteo Messina  Denaro. Già il 30 marzo scorso, il  Gup di Palermo Daniela Troja, condannando a trent’anni di carcere Cosimo Lo Nigro, Cristofaro Cannella e Benedetto Capizzi, aveva scritto nella sentenza: “le dichiarazioni rese da  Spatuzza appaiono dotate del requisito dell’attendibilità, essendo sicuramente spontanee e sostanzialmente  coerenti. Esse inoltre non appaiono  ricollegarsi ad alcuna situazione di  coercizione o di condizionamento”.  Di fronte ad un utilizzo in sede processuale delle dichiarazioni rese, di  fronte ai commenti positivi sul suo apporto alle indagini, quali quello  autorevole del Procuratore nazionale  antimafia Piero Grasso, resta quindi  del tutto incomprensibile la scelta della apposita commissione, insediata presso il Ministero dell’Interno e guidata dal sottosegretario Alfredo Mantovano, di negare il riconoscimento dello status di collaboratore di giustizia all’ex killer di Brancaccio. 

La causa del rigetto della domanda è da individuare nell’applicazione fiscale dei termini previsti per la  collaborazione: lo Spatuzza avrebbe collaborato dichiarando quanto a sua conoscenza, ma alcune delle sue ricostruzioni rese oltre i sei mesi previsti  dalla legge sarebbero inutilizzabili. Da ciò ne conseguirebbe che lo stesso non può essere ammesso al programma di protezione. Il ricorso al Tar del Lazio da parte dei suoi legali  lamenta una mancanza di autonomia nelle decisioni dell’organismo ministeriale, a partire dalle critiche a Spatuzza, manifestate preventivamente dallo stesso Mantovano e denuncia  inoltre l’infondatezza del richiamo alla rigidità dei tempi trascorsi, vi sta l’importanza delle dichiarazioni  rese ai fini dell’accertamento in sede processuale.

Non può non rilevare, infatti, che Spatuzza abbia di fatto riscritto la verità sull’uccisione di Borsellino e dei cinque agenti della  sua scorta in via D’Amelio, comprese le ultimissime dichiarazioni che  collocano sullo scenario della preparazione della strage un uomo dei servizi segreti, quel Lorenzo Narracci un tempo in forza al SISDE e oggi  all’AISI. Non può non rilevare che l’ex killer sia pronto a mettere nero  su bianco le accuse che riguardano  i rapporti tra Berlusconi, Dell’Utri,  Schifani e i Graviano, leader dell’ala  stragista di Cosa Nostra.

“Ci siamo messi il Paese nelle mani”:  così Graviano a Spatuzza, commentando la  discesa in campo dell’attuale presidente del Consiglio. Oggi Spatuzza si  vede negare l’accesso al programma di protezione, nonostante i riscontri  crescano a tal punto da smontare i  tre procedimenti penali per la strage di via D’Amelio, che sono serviti ad arrivare ad una verità che è una “non  verità”. In attesa di novità, Spatuzza continua a camminare da solo, sul filo del rasoio.  

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