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Sindaci in prima linea a “Racconti di vita”

Di Norma Ferrara il . L'analisi

«Abbiamo avuto il coraggio di rifiutare certi appoggi sospetti. Abbiamo scelto di stare dalla parte della legalità, giustizia e trasparenza. Abbiamo detto un “no” chiaro alla mafia». A parlare è Antonino Iannazzo, sindaco di Corleone, 36 anni, amministratore del paesino tristemente noto per aver dato i natali ai boss della cupola di Cosa nostra. O almeno così era sino agli anni ’90. Poi le carte in tavola sono cambiate e oggi Corleone è sinonimo di riutilizzo sociale dei beni confiscati, di cittadinanza attiva, di giovani impegnati nella gestione del territorio, e nella promozione di un’altra cultura. All’omertà e al silenzio, si sono sostituiti la parola e la partecipazione. L’altra Corleone – la vera Corleone precisa Iannazzo – è oggi un luogo dove «un patto fra le diverse componenti della società ha consentito di ripristinare la legalità, la democrazia, favorendo lo sviluppo». Il primo cittadino di Corleone racconta questa storia italiana, lo scorso 24 ottobre, durante la trasmissione “Racconti di vita” dedicata proprio ai sindaci nel mirino delle mafie.

Spesso isolati, accusati di non volere il benessere del paese, altre volte invece sostenuti dalla cittadinanza e soprattutto dai giovani, i sindaci sono diventati per alcune realtà i portavoce di un progetto di riscatto per l’intera comunità. Nella puntata condotta da Giovanni Anversa erano presenti, come ospiti in studio, il sindaco di Corleone, Antonino Iannazzo, e Carolina Girasole che amministra dal 2008 il Comune di Isola di Capo Rizzuto (Kr). Ad intensificare la narrazione alcuni reportage da Pollica, cittadina in cui pochi mesi fa è stato ucciso il sindaco Angelo Vassallo; da Pagani, paesino campano, in cui nel 1980 il primo cittadino, Marcello Torre, venne ucciso dalla camorra; da Cesa (Ce), Comune dell’agroaversano, guidato oggi dal sindaco Vincenzo De Angelis, già familiare di vittima della camorra e anch’egli nel mirino dei clan. Isola e Corleone come ponte mediatico fra la Sicilia e la Calabria, due città solo apparentemente diverse, accomunate dalla stessa battaglia.

«Tre macchine incendiate in quattro notti – dichiara Carolina Girasole, sindaco di Isola – sono state l’ultima delle “attenzioni” ricevute. Da allora continuiamo il nostro impegno, certi che stiamo percorrendo la strada giusta, consapevoli che non possiamo tirarci indietro». Una sfida decisiva, quella intrapresa ad Isola di Capo Rizzuto, paese che vive sotto il controllo pervasivo della ‘ndrangheta, ma che ha potenzialità importanti nel settore del turismo, dell’agricoltura, del circuito culturale. Hanno molto in comune queste due esperienze, ma soprattutto un fatto politico ed etico. A Corleone come a Isola Di Capo Rizzuto, i due sindaci, al di là delle appartenenze politiche, stanno ricostruendo un tessuto sociale, ricordando ai cittadini che l’amministrazione della cosa pubblica, è responsabilità di tutta la comunità, e trasversalmente, di tutti i partiti politici, soprattutto quando le regole democra-tiche sono saltate e vanno ripristinate.

 «Guai se la legalità avesse un colore politico – conferma nel suo intervento Iannazzo». «E’ difficile spiegare ai cittadini del nord, cosa vuol dire fare il sindaco in una realtà come la nostra. Qui alcune cose, che altrove sono la normalità, sono utopia – commenta la Girasole». Misure straordinarie quelle richieste ai sindaci delle città di frontiera: coraggio, tenacia, attenzione, ma anche capacità di comunicare un’altra idea di comunità. E poi gli esempi concreti: una società alternativa, anche economicamente, alle mafie è possibile. A Corleone più di cento giovani sono riusciti a trovare un futuro e un lavoro sul proprio territorio, onestamente, grazie alle cooperative che aderiscono al progetto Libera Terra. A Isola Di Capo Rizzuto, sui terreni confiscati agli Arena, nascerà, da un bando pubblico una cooperativa agricola. La legalità non vive solo nelle norme, ma soprattutto nei fatti.

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