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Doping e ciclismo

Di Claudio Lenzi il . Interviste e persone

“I ciclisti sono tutti
dopati, se il doping non facesse male alla salute potrebbe essere
legalizzato…”. Così parlò Ettore Torri, procuratore capo
antidoping del Coni. Secondo la Gazzetta dello Sport,
“è come se il capo della Procura antimafia dicesse che in Sicilia
sono tutti mafiosi e che se la mafia non fosse nociva per la società
potrebbe avere legalità”. Parole da bar, accuse vuote e da
irresponsabile sono invece alcuni dei giudizi espressi da Uci,
l’Unione ciclistica internazionale, la Federciclismo italiana e buona
parte dei team professionistici. Un “danno d’immagine” che la
Liquigas – una delle principali formazioni italiane – ha
quantificato in 5 milioni di euro ed è pronta a chiederli allo
stesso Torri. “Un quadro penoso” secondo Alessandro Donati,
consulente di spicco della Wada (l’Agenzia mondiale antidoping).

Donati, da molti anni,
studia i traffici internazionali di sostanze stupefacenti e illecite,
un business mafioso che non risparmia assolutamente lo sport. Membro
della commissione vigilanza sul doping presso il ministero della
Salute, già nel 1993 aveva detto quanto oggi va sostenendo Torri.
“In un rapporto di quattordici pagine che trasmisi all’allora
presidente del Coni, Mario Pescante, e al segretario Raffaele
Pagnozzi, un’indagine personale tra direttori sportivi, medici e
corridori ai quali promisi l’anonimato affinché mi aiutassero a
ricostruire la mappa del doping. Risultato: 100 per cento del sistema
corrotto, o 98 ma fa lo stesso. Torri ha scoperto l’acqua calda”.
Nonostante fossero evidenziati molti indizi di reato, il rapporto
finì chiuso a chiave in un cassetto e dal Coni, ricorda Donati, “si
affrettarono a capire chi erano state le gole profonde dell’indagine.
Tra l’indignazione generale, l’unico che ebbe la dignità di stare
zitto fu Silvio Martinello”, oro olimpico e mondiale su pista, oggi
voce tecnica della Rai.

Tra coloro che invece si
scandalizzarono, “a decine fanno ancora i direttori sportivi”
sottolinea Donati. Il vero problema sta qui: “Abbiamo dirigenti
dalle carriere eterne, allenatori e medici delle squadre nazionali a
vita. Troppo facile prendersela con i corridori quando sono le
istituzioni a organizzare e ingigantire il sistema doping per
ottenere risultati migliori. E’ successo negli anni ’80-’90 con
Conconi e il laboratorio di Ferrara, ma anche attraverso l’università
di Friburgo in Germania. L’atleta, più spesso, è lo strumento,
quello che ci mette la faccia e la salute. Quando vince, però,
saltano tutti, dirigenti, medici, allenatori e manager”. Un’analisi
condivisa dal vincitore del Giro d’Italia 2003, Gilberto Simoni:
“Torri non deve andare contro i ciclisti, vittime del sistema:
quelli che fanno paura sono i preparatori sportivi che spingono per
il doping”.

Non funziona, dunque, la
provocazione del procuratore capo antidoping del Coni.
“Liberalizzare? In nessun modo il doping può essere trattato alla
stregua della droga – spiega Donati – dove l’ipotesi è stata
avanzata per stroncare il narcotraffico. L’assunzione di sostanze
dopanti si basa sulla finalizzazione della sua pratica, la ricerca
del record e dei successi. Chi ne fa uso non ha una perfetta
conoscenza di come lo pratica l’avversario, può anche dire che tutti
fanno così, ma parla per sentito dire. In un mondo stregonesco come
questo, proporre la liberalizzazione è pericoloso”. Perché sempre
e solo il ciclismo? “È più facile” secondo il consulente Wada.
“Competono così tanto che sono sempre reperibili. Negli altri
sport i controlli a sorpresa sono pochissimi, manca la volontà. E
l’attenzione mediatica: anche giornali e tv hanno bisogno della loro
dose, del caso Contador, sono drogati da informazioni sopra le righe.
Passata la tempesta, ricominciano a celebrare le imprese. Ci sono
testate che hanno cointeressi troppo forti nell’organizzazione delle
gare. Alla fine stringere nella morsa Torri fa un po’ ridere”.

Qual è, dunque, il
quadro attuale della lotta al doping? “Se prima del 2000 e della
legge antidoping italiana eravamo di fronte a un fenomeno marginale,
come dimostravano la poche positività nei controlli, nell’ultimo
decennio, con le indagini giudiziarie, si è scoperto che a fronte
dello scarso numero di atleti fermati, ce ne sono molti dopati che
risultano negativi. E’ su questo fronte che bisogna continuare a
lavorare”.

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