Quando le mafie fanno tendenza
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Il 16
aprile 2010 durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi per
illustrare l’azione di contrasto del Governo contro la criminalità
organizzata il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha
dichiarato «La mafia italiana, non so in base a quale classifica,
risulta la sesta nel mondo, ma in realtà è la più conosciuta
grazie al supporto promozionale che ha ricevuto dalle otto serie tv
come “La piovra”, vista in 160 Paesi e anche dalla
letteratura, come ad esempio “Gomorra”. Noi invece ci siamo
posti come obiettivo quello di contrastarla». La risposta di Roberto
Saviano non si è fatta attendere, in una lettera aperta ha scritto:
«Si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A
quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici,
magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini
che da anni, in certe parti d’Italia, trovano la forza di raccontare,
di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno
tutt’ora rischiando, eppure vengono accusati di essere
fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne
parlare. Perché per lei è meglio non dire. Io credo che solo e
unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere
mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette
il crimine?».
In realtà il rapporto tra mezzi di
comunicazione e diffusione della cultura mafiosa è molto più
articolato di come sembra. Non basta parlare di criminalità
organizzata e di mafie, dipende anche da come lo si fa, dall’onestà
culturale con cui si affrontano questi temi proprio per evitare che
la “denuncia” possa diventare “supporto”.
Come spesso avviene nella società
generalista i tabù che vengono abbattuti alla ricerca di libertà
possono essere strumentalizzati e usati contro gli ideali e gli
stimoli di cambiamento che li avevano generati. La diffusione e il
supporto di modelli di vita deviati e criminali sui mezzi di
comunicazione di massa cresce e si allarga senza trovare argini. Dai
gruppi musicali ai film di Hollywood, dai telefilm ai video games il
mito degli “uomini d’onore” è propagandato attraverso strumenti
spesso legati a doppio filo con il mondo della criminalità
organizzata.
Tutto questo materiale influenza le
persone normali, mitizzando le figure dei mafiosi e diventando uno
stile da imitare. Si va dalle magliette di don Vito Corleone (o degli
appartenenti alla Banda della Magliana) molto diffuse tra i ragazzi,
alla villa di Walter Schiavone, fratello di Sandokan, boss di Casal
di Principe, identica a quella di “Scarface”, il film di Brian De
Palma con l’attore Al Pacino nella parte del boss.
Alla conquista dell’immaginario
In questa azione di colonizzazione
delle coscienze e dell’immaginario collettivo Hollywood, la fabbrica
dei sogni, ha avuto un ruolo predominante. Che in America ci siano
state e ci siano ancora oggi organizzazioni criminali non è un
mistero. Tra il 1861 e il 1985 dall’Italia verso l’America partirono
quasi 30 milioni di persone, in quel fenomeno denominato grande
migrazione. Lo star system hollywoodiano nacque intorno agli anni
Venti, gli stessi anni del proibizionismo, e fin dai suoi primi passi
è entrato in contatto con questi poteri mafiosi: attraverso la
repressione degli scioperi, le scommesse clandestine, i traffici di
alcol e poi di cocaina e i giri di prostituzione.
Questa
contaminazione ha evidentemente ispirato, plagiato e incuriosito
tanti autori e registi che poi hanno realizzato film di diversa
qualità: dalla saga de Il Padrino, a C’era una volta in America,
American Gangster, Scarface, Carlito’s way, Quei bravi ragazzi,
Bronx, Sleepers e tanti tanti altri a cui si affiancano le tante
serie televisive di successo tra cui i Sopranos.
A casa nostra i film sulla criminalità
organizzata non sono mai stati un tabù ma hanno sempre mantenuto una
certa equidistanza nei contenuti. E accanto a film o fiction con
protagonisti “uomini d’onore” ci sono stati anche tanti prodotti
cinematografici dedicati a chi ha dedicato la propria vita alla
legalità e alla giustizia sociale.
In nessun caso il mito è subentrato
nella narrazione infrangendo l’attendibilità del racconto e
proponendosi in modo imperante, almeno fino a poco tempo fa.
Questa situazione, infatti, è mutata
grazie al film e soprattutto alla serie tv “Romanzo Criminale”
dedicato alla Banda della Magliana, organizzazione criminale degli
anni ’80 ancora oggi attiva. Nella notte tra il 14 ed il 15 ottobre
2008 la serie televisiva è stata lanciata con una campagna
pubblicitaria d’effetto: quattro busti raffiguranti i boss più
famosi della banda criminale sono apparsi nel quartiere EUR. Poco
dopo, su YouTube è apparso il video del blitz. Questa invasione
simbolica è stata in seguito affiancata, proprio come nei migliori
casi hollywoodiani, da numerosi gadget.
Quando te le suona la mala
La cultura dell’illegalità può avere
come sponda anche la musica, in special modo quella underground. Tra
i tanti gruppi musicali che raccontano la realtà della strada e
diffondono la cultura metropolitana non sono pochi quelli che si
riferiscono allo Stato e ai suoi rappresentanti come a dei nemici
“corrotti” da abbattere e che esaltano l’uso di cocaina, il
possesso di armi e la ricchezza sfrenata.
In questa breve analisi sugli strumenti
multimediali di fascinazione criminale occorre fare una netta
distinzione tra le famose organizzazioni criminali (Camorra,
‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Cosa Nostra, ecc.) e le bande (o
gang) di strada.
Le prime sono la testa, la struttura,
l’economia e la politica della criminalità organizzata mentre le
seconde rappresentano il braccio armato, la bassa manovalanza pronta
ad agire. In America il rapporto tra gang criminali e musica rap è
molto stretto, sul finire degli anni 80 è nato il gangsta rap o
g-rap, genere musicale derivato dal rap, che attraverso testi
violenti e spesso misogini si sofferma su temi come droga, sesso,
armi, e più in generale sulle attività criminali inerenti lo stile
di vita delle bande di strada e dei gangster. Gli autori, quando
vengono accusati di supportare modelli di comportamento deviato, si
difendono precisando che nei loro testi null’altro viene descritto se
non la vita reale nei ghetti metropolitani in cui vivono o sono
cresciuti. Eppure la descrizione di una situazione, di un
comportamento o di un posto non necessariamente implica il suo
supporto. Come dicevamo all’inizio di questo paragrafo il limite che
separa la parola dall’azione è molto labile. E’ noto come la
rivalità tra rapper della East Coast e della West Coast costò la
vita a Tupac Shakur ucciso il 13 settembre 1996 da 5 proiettili
sparati da un’auto in corsa a Las Vegas, e a Notorious B.I.G freddato
il 9 marzo 1997 da quattro colpi esplosi da una macchina che gli si
era affiancata. In Italia il gangsta rap è imitato e scimmiottato da
diversi gruppi che supportano un modello comportamentale basato sui
soldi, il rispetto, il rigetto delle regole e delle forze
dell’ordine. Ma è soltanto un modo di atteggiarsi che non influisce
nella realtà se non a livello culturale. Molto più grave e
interessante è in Italia il caso dei cantanti neo-melodici
napoletani e il loro star system. Questo fenomeno locale è diventato
globale grazie al proliferare dei social network: i videoclip
amatoriali vengono diffusi soprattutto grazie a Youtube e di molte
canzoni esistono diversi video.
Il primo autore di testi di
neo-melodici fu verso la fine degli anni ’80 Luigi Giuliano, detto
Lovigino, noto boss camorrista del quartiere Forcella e componente
della famiglia Misso, clan storico della Sanità, ora collaboratore
di giustizia. Fu lui che ordinò la diffusione del genere in tutta la
città. Da allora la musica neo-melodica è diventato un lucroso
affare per le famiglie malavitose, da alimentare e promuovere a tutti
i costi.
Tra i compositori più amati dai fan
della musica neo melodica c’è anche Rosario Armani, paroliere per
eccellenza del filone musicale a cui si è affidato anche Garrone per
il film Gomorra, il cui vero nome è Rosario Buccino, da anni
latitante per reati contro il patrimonio.
Tra le agenzie di promoting non posso
non citare “Bella Napoli” il cui titolare è Carmine Sarno, detto
«’O Topolino» e fratello di Ciro Sarno, detto «’O Sindaco», capo
del clan Sarno di Ponticelli, oggi all’ergastolo.
Tra cantanti e canzoni segnalo: “Nu
latitante” di Tommy Riccio (171046 visualizzazioni ), “Core
carcerato” di Nello Amato” (6725 visualizzazioni ), “Onore
e rispetto” di Fabrizo Ferri & Marianna (31128
visualizzazioni), “Sta vita fa’ paura” di Leo Ferrucci
(222259 visualizzazioni), “Comme se fa” di Zuccherino
(26617 visualizzazioni) e soprattutto “O capoclan” di Nello
Liberti.
Quest’ultimo video censurato da Youtube
ma ancora reperibile nella rete ha alcuni passaggi molto eloquenti:
“il capoclan è un uomo serio, non è cattivo davvero, ma non si
può ragionare con il cuore. Il capoclan non sbaglia perché per la
famiglia è il capo e deve sapere comandare”.“E’ il capo e sa
campare e noi dobbiamo rispettarlo”. Il video si chiude con
l’arresto dell’uomo: “Tutte le sere, guardando una fotografia,
abbraccio le sbarre, guardo le stelle e parlo a Dio. Dio ti
raccomando proteggi i miei figli e se qualche volta non puoi farlo,
non preoccuparti proprio, ci penso io, io che sono il capoclan”.
Non tutta la canzone neo-melodica è
collegata a organizzazioni criminali e sicuramente rappresenta per i
giovani un modo di riscattarsi. Ma è anche vero che rappresenta uno
strumento per riciclare i soldi sporchi e diffondere a macchia una
“cultura mafiosa” necessaria a motivare e mobilitare le nuove
generazioni.
Giocare a fare il boss
La cultura mafiosa si insinua anche nel
settore ludico attraverso diversi titoli di video game per console
contrassegnati dalla lettera M ( contenuto adatto a persone di età
superiore 17 ) e dedicati alla criminalità organizzata: da “Il
Padrino” a “Mafia”, dal famosissimo ”Grand Theft Auto” a
“The Getaway“, a “True Crime: Streets of LA”.
In questi giochi le rappresentazioni
dell’illegalità sono molteplici: in alcuni bisogna fare il classico
percorso dentro una famiglia, salendo di grado in base alle violenze
e ai crimini commessi (estorsioni, omicidi, traffici, tratta, furto
di auto, ecc.). Oppure, come in “ True Crime: Streets of LA” il
giocatore riveste i panni di un poliziotto rinnegato che si deve fare
giustizia da solo.
Oltre ai giochi per console c ne sono
anche altri disponibili su internet, come “The mafia boss”,
“Mafia driver”, “Camorra Word”, “La Cosa Nostra”, “Don’s
Debt”, “Killer Affairs Game” e tanti altri titoli che spesso
hanno anche il supporto di famosi social network (per esempio “Mafia
War” su Facebook). Il rapporto tra i video games e la violenza è
un tema molto discusso e sinceramente non mi sono mai trovato dalla
parte dei “censori”, di coloro i quali pensano che i video games
troppo violenti vadano banditi. Non penso insomma che gli
appassionati di Grand Tehft Auto vadano in giro a rubare macchine o a
uccidere persone. Infatti il problema non è l’emulazione di un
comportamento adottato durante il gioco e applicato nella vita reale.
Il problema sono i valori, i contenuti
e la cultura che anche un gioco trasmette, e ci sono alcuni giochi
che, proseguendo quella mitizzazione iniziata con i film, supportano
uno stile di vita deviato. Lo stesso stile di vita che poi spinge le
persone a creare su Facebook pagine o gruppi dedicati a boss
latitanti o alle organizzazioni criminali, lo stesso spirito che
porta gli utenti a creare gruppi che rispecchiano le regole della
malavita su Habbo. “Siete qui a giudicare ma perché non pensate
agli affari vostri invece che a quelli degli altri. Prima di parlate
informatevi. Io amo mio zio e lo difenderò contro tutto e contro
tutti e contro i vigliacchi come voi” così la nipote di
Gerlandino Messina, capomafia superlatitante di Agrigento ha
commentato giorni fa su Facebook la cattura dello zio. Senza
vergogna, senza timore.
In questo pullulare di stimoli non
sorprende che a Budapest si sia svolto da poco il concorso di Miss
Mafia, una manifestazione che ha premiato la ragazza più bella tra
quelle che hanno dimostrato di avere almeno un’accusa per
associazione mafiosa o una condanna per truffa, rapina o spaccio. Gli
organizzatori, gestori dello Stage Pub, si difendono dicendo che si
tratta solo di una trovata pubblicitaria per reclamizzare il locale
notturno.
Giovanni Falcone diceva: “La mafia è
un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una
sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. La sua fine sarà
più vicina quando lo Stato riuscirà a garantire maggiori diritti a
tutti i suoi cittadini. Ma anche quando si metterà un limite e si
svilupperà uno spirito veramente critico verso tutti quei contenuti
deviati che supportano l’idea di una società basata sull’egoismo,
l’arrivismo e l’indifferenza.
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