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Rostagno: i sospettati a pochi passi dalla Corte di Assise

Di Rino Giacalone il . Piemonte, Sicilia

E’ l’ultimo passaggio, poi toccherà alla Corte di Assise di Trapani. La richiesta di rinvio a giudizio per l’omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, 26 settembre 1988, è stata firmata dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Antonio Ingroia e dal pm Gaetano Paci, è adesso alla cancelleria del gup che deve fissare la data dell’udienza dove citati a comparire sono due indagati, ambedue ergastolani e mafiosi conclamati, Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani, accusato di essere il mandante e Vito Mazzara, uomo d’onore di Valderice e Custonaci, campione di tiro al piccione come lui amava definirsi, accusato di essere uno degli esecutori materiali del delitto, il “capo banda”, altri due sarebbero stati ai suoi ordini per questo omicidio, i sospettati sono Nino Todaro e Salvatore Barone (rimasti però fuori dalla richiesta) seguendo anche in questo un rituale che ha portato gli investigatori della Squadra Mobile e gli esperti di balistica a sovrapporre l’omicidio Rostagno con altri delitti di mafia per i quali è stata processualmente accertata con sentenze definite la responsabilità di Mazzara. Il processo in Corte di Assise a Trapani se il gup accoglierà la richiesta di rinvio a giudizio dovrebbe cominciare non prima della prossima primavera, quando nel frattempo saranno trascorsi 23 anni da quel delitto che la mafia voleva che restasse al buio non scoperto.

Per la verità non solo Cosa Nostra.  Questo viene da pensare a guardare quello che è successo in tutti questi anni attorno e dentro alle indagini, “episodi “anomali” e “devianti” – scrivono i pm – ogniqualvolta le indagini hanno avuto un’accelerazione lungo direttrici “promettenti”, l’idea che vi siano state intenzioni depistanti, perfino anche istituzionali, diviene più di un sospetto”. Cosa Nostra ma non solo Cosa Nostra, un ritornello che si ripete in una canzone carica dolori e amarezze. La mafia uccise quel 26 settembre 1988 Mauro Rostagno, perché era una “camurria” come avrebbe detto Totò Riina, perché parlava troppo e male della mafia e dei suoi affari, “rompeva” come avrebbe sostenuto il capo della cupola del tempo, il “campiere” belicino don Ciccio Messina Denaro,l’uomo che ha passato il testimone mafioso al figlio, latitante Matteo, il boss che ha inventato la mafia sommersa e imprenditoriale dopo avere insanguinato mezza Italia e piazzato bombe per portare lo Stato a trattare. La mafia uccise Mauro Rostagno perché qualcuno forse suggerì a chi di dovere quali erano le sue intenzioni a proposito di informazioni da rendere al suo “popolo” televisivo dagli schermi di Rtc, la tv privata trapanese di proprietà di un imprenditore, Puccio Bulgarella che alcuni mafiosi li conosceva bene, come Angelo Siino, l’ex ministro dei Lavori Pubblici di Totò Riina. Cosa poteva andare a dire in tv Rostagno? Gli strani movimenti di aerei nell’aeroporto ufficialmente dismesso di Kinisia, vicino Birgi dei quali hanno parlato alcuni testimoni. Oppure altro: giusto in quei giorni mafia, politica e impresa a Trapani erano riusciti a mettere su un tavolino di spartizione di affari e appalti con la mediazione della massoneria. Suggeritori rimasti nell’ombra.  Di mezzo poi soggetti con ruoli ambigui rimasti tuttavia giudiziariamente indenni, come l’”amico” Cicci Cardella. Di Francesco Cardella i pm negli atti depositati scrivono: “…originariamente iscritto dalla Procura di Trapani solo per favoreggiamento, e poi anche per concorso in omicidio, essendo emersi a carico dello stesso elementi di un certo spessore indiziario, che, pur non essendo mai assurti ad un grado di gravità tale da giustificarne una formale incriminazione mediante l’adozione provvedimenti cautelari o l’esercizio dell’azione penale, d’altra parte non sono mai venuti del tutto meno, neppure alla fine di una pur prolungata attività investigativa di verifica”. Insomma i sospetti c’erano ma non sono diventate prove. I pm aggiungono: “La radicalizzazione dei contrasti fra Mauro Rostagno ed il Cardella, per ragioni mai del tutto chiarite, proprio negli ultimi mesi di vita del Rostagno; l’inverosimiglianza delle versioni fornite in momenti diversi dal Cardella medesimo, più volte contraddette da elementi logici e da risultanze obiettive; le gravi perplessità sorte perfino sulla versione fornita da Cardella circa i suoi movimenti nella sera del delitto; il giro di affari e movimenti finanziari emersi attorno alle molteplici attività del Cardella, che apparivano non incompatibili con la ricostruzione fornita da taluni testimoni, sono stati tutti elementi indiziari, oggetto di lunghi ed approfonditi accertamenti, che non hanno consentito di giungere a definitive conclusioni, né nel senso della loro totale infondatezza, né della loro conducenza probatoria”. 

Nel maggio di due anni addietro si arrivò all’ordinanza contro Virga e Mazzara – titolare con la moglie a Valderice di una gioielleria che si racconta fu inaugurata il pomeriggio del 19 luglio 1992 mentre a Palermo si faceva strage del giudice Borsellino e della sua scorta –  grazie ai risultati di una perizia balistica condotta dal gabinetto di Polizia Scientifica, si riscontrò che i proiettili usati negli omicidi per i quali Mazzara era stato condannato erano stati tutti caricati alla stessa maniera e che Mazzara usava un trucco per tentare di renderli non comparabili. Il tribunale del riesame bocciò questa ricostruzione, ma adesso alla richiesta di rinvio a giudizio i pm sono giunti a seguito di una nuova super perizia cui hanno partecipato ancora gli esperti della scientifica della Polizia e il prof. Livio Milone. E con un nuovo verbale di accuse, quelle del pentito di Paceco Francesco Milazzo che è stato più chiaro nel ricordo e sul fatto che ad ammazzare Rostagno fu Mazzara per conto della mafia trapanese agli ordini di Virga. “Rostagno dava fastidio a tutta Cosa Nostra! Il “via” per l’omicidio è certamente partito dalla Provincia, perché Rostagno nelle sue trasmissioni ha “toccato” qualche nome importante della Provincia”. 

Un delitto lontano nel tempo ma il cui processo permetterà  di aprire finestre su scenari siciliani e trapanesi mai del tutto chiariti. Nel 1988 mentre si diceva che la mafia a Trapani non esisteva, c’era e c’erano le collusioni, i comitati di affari, le mazzette pagate dalle imprese a politici e mafiosi, c’era la massoneria deviata e i servizi segreti giravano per la provincia forse non sempre stando dalla parte dello Stato. C’erano le navi cariche di veleni tossici che venivano affondate nei nostri mari e c’erano gli aerei che scaricavano droga e caricavano armi per conto di intelligence e mafiosi in società. Questo hanno raccontato molti pentiti. Questo può avere scoperto Rostagno, finendo ammazzato. La società lo ha pianto per poco tempo, lasciando per 22 anni il compito solo ad un pugno di suoi amici, arrivando anche a calpestare l’onore dei suoi familiari, finendolo con il dimenticare: d’altra parte si tratta di quella stessa società risultata spesso poco solidale coi giornalisti scomodi. La stessa società che oggi solo in apparenza si mostra diversa.

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