Juarez, storie dal confine
Croci piantate per terra. Su di ognuna un nome, quando va bene, una data, qualche fiore. Dipinte di rosa, si stagliano sullo sfondo di un’arida città di confine. Messico, confine con gli Usa. A Ciudad Juarez non è per nulla strano, è la normalità, quella a cui non ci si assuefa mai ma che da quasi vent’anni, purtroppo, accompagna una città dove le donne sono state uccise, violentate, massacrate, fatte sparire. Facendo salire la conta delle vittime a numeri vertiginosi, migliaia, che si assommano ai dati spaventosi che hanno fatto della città e del Messico intero un campo di battaglia. Dati questi ultimi che raccontano di un paese in guerra da quasi un lustro in una lotta, non dichiarata ufficialmente, tra i narcotrafficanti, gli zar della droga da un lato e l’esercito federale dall’altro. Anche se tuttavia la situazione non è assolutamente così manichea: buoni contro cattivi, bianco contro nero, non è una dicotomia utile a far capire cosa sta succedendo nella federazione messicana. I troppi fattori in gioco, la corruzione della polizia e dell’esercito ad esempio, impediscono una visione chiara di cosa sta accadendo: rimane solo lampante come la risposta militare scelta dal presidente Calderon abbia di fatto creato una situazione di “negazione di diritti basilari” consentendo, nel paese dell’impunità generalizzata, anche alle forze federali di usare il clima di tensione come copertura o attenuante per azioni contro i diritti umani.
Stato di assedio
La settimana scorsa Josè Gil Olmos, giornalista messicano, ci raccontava come negli ultimi anni siano stati «1600 gli uomini e le donne scomparse nel nulla» affiancando questo numero a un terribile dato: + 330%, di violazione dei diritti umani denunciati. Dati enormi che devono essere inseriti nel contesto attuale: un dispiegamento potente di esercito federale per far fronte all’altrettanto preoccupante aumento della potenza dei cartelli. Per una volta, però, non sarà la violenza dei cartelli a monopolizzare la scena: da tempo infatti questa è affiancata dalle morti di persone, civili e non collegati ai narcos, dopo veri e propri abusi di potere da parte dei militari. Persone deputate a creare le basi per la loro sicurezza, tramutate in aguzzini: un clima di tensione che ha portato spesso a queste terribili derive.
A dare voce alle denunce delle associazioni per i diritti umani è stato in questi giorni un rapporto congiunto, scritto da Prodh (Centro de Derechos Humanos Miguel Augustin Pro Juarez) e l’attivissimo Wola (Washington Office on Latin America), volto a far luce agli abusi in rapporto allo stato d’assedio che il Messico vive da più di cinque anni ormai. L’impiego dell’esercito in Messico rientra nella “guerra” lanciata ma mai ufficialmente riconosciuta come tale che il presidente Calderon ha mosso ai cartelli dei narcos. Tra il 2005 e il 2006, anni considerati di inizio dello strapotere narcos, i morti per cause legate alla droga ammontavano a meno di duemila, da quanto l’operazione federale è cominciata abbiamo assistito a un crescere esponenziale di questo tipo di violenza: 23mila morti negli ultimi anni, più di 8mila lo scorso anno. Cifre paurose che denotano la situazione al collasso. Per uscire dall’empasse il governo ha militarizzato le strade e portato avanti riforme importanti che dovranno, nelle intenzioni, dare una svolta all’impunità che regna in Messico: la riforma della polizia e quella della giustizia.
Tuttavia i dubbi che il rapporto “Abused and Afraid in Ciudad Juarez” sottolinea sono riguardanti proprio queste riforme: riusciranno questi necessari cambiamenti a non pesare ulteriormente sui diritti umani dei messicani? Dal 2008, racconta il rapporto, è possibile il cosiddetto “arraigo” un arresto preventivo di 40 giorni per sospettati di collegamenti coi narcos, possibilmente esteso a 80 per guadagnare prove anche con impiego di tortura, o, in genere, con l’uso della forza. Non stupisce dunque il numero di denunce ricevuto dalla Commissione nazionale per i diritti umani (CNDH) ai danni del dipartimento della Difesa. Il 1000% in più nei primi tre anni di presidenza Calderon, passando dai 182 casi del 2006, ai 1791 del 2009. E lo stesso dipartimento nel 2010, in giugno, ha ammesso di aver ricevuto circa 4mila denunce per abusi di diritti umani: torture, detenzioni arbitrarie, perquisizioni, abusi sessuali, sparizioni ed esecuzioni arbitrarie. Crimini a cui spesso si accompagna l’impunità: infatti nella maggior parte dei casi l’esercito viene giudicato da un tribunale militare rispetto a uno civile, sebbene l’articolo 13 della Costituzione messicana imponga che cadano nella giurisdizione civile crimini commessi contro i civili da parte dei militari. Un problema, che avvantaggia gli aguzzini e che la riforma giuridica dovrebbe, ci auguriamo, sorpassare.
La paura nei loro occhi
Ciudad Juarez può al momento raccontare cosa significa vivere la militarizzazione del territorio e la ricerca esasperata dei narcos, al costo di trovarli anche quando non ci sono, abusando del potere, in nome di una lotta senza quartiere. Lo sa bene Roberto, che ha denunciato al Centro de Pastoral Obrera della diocesi di Juarez la sua terribile esperienza. Fermato a un checkpoint militare mentre si recava al lavoro, tirato fuori dall’auto perquisito, accusato di essere collegato ai narcos dopo che un pacchetto di droga, inserito artatamente nella sua vettura, era stato ritrovato. E poi il calvario, bendato, legato ai polsi, in un posto dove si alternavano interrogatori, urli dalle stanze vicine e vessazioni fisiche, fino al rilascio. Tre giorni dopo con una postilla agghiacciante: «Se qualcuno ti chiede cosa è successo, racconta che sei stato rapito. Ricorda che sappiamo dove vive la tua famiglia». Frasi che dopo una prima denuncia hanno impedito a Roberto di andare oltre, per paura di una ritorsione sulla sua famiglia. Un caso significativo che affianca altri abomini denunciati a varie associazioni, come la Casa Amiga e il Centro de Derechos Humanos de las Mujeres, più specificatamente deputati a raccogliere denunce di abusi anche sessuali sulle donne. Racconti agghiaccianti in cui l’impunità dei militari si evince dal modo sfrontato in cui, tra una risata e l’altra, abusano delle donne fermate per l’ennesimo checkpoint di controllo. Storie che si moltiplicano e rappresentano l’ennesima sfaccettatura in una guerra difficile da capire e alla cui risoluzione non sarà per niente utile un attacco ai diritti umani e a chi li difende.
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