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Reggio Calabria il clima si fa torbido

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Non solo ‘ndrangheta. Lo hanno detto in tanti. Dietro le bombe, gli attentati e le minacce contro magistrati e giornalisti in Calabria non c’è soltanto la criminalità organizzata. Affermazioni dure che, tuttavia, potrebbero avere dei riscontri oggettivi. Anche se gli inquirenti stanno ancora valutando la veridicità della lettera anonima recapitata alla Dia di Caltanissetta, nella quale si parla di un summit tra cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra casalese, una strategia mafiosa destabilizzante potrebbe essere in atto. In Calabria, dove la ‘ndrangheta ha assunto una forza e un potere globale, surclassando i siciliani nella gestione dei rapporti con i pezzi deviati della Stato. Un agglomerato di interessi che rischia di sfociare in una stagione molto pericolosa. Uno scenario simile a quello del 1992.

Ad affermarlo, in un’intervista al Secolo d’Italia, Angela Napoli, componente della Commissione antimafia. Un concetto che, dopo il bazooka ritrovato a Reggio Calabria, la parlamentare finiana ha ripreso in un editoriale, apparso sul Quotidiano della Calabria l’8 ottobre, firmato con Franco Laratta, deputato del Pd. Un’analisi di fuoco che attacca a testa bassa l’esecutivo sulla mancanza di risposte vere nei confronti dell’emergenza – Calabria. A riferire in Parlamento sugli ultimi sviluppi, dopo la richiesta di 32 parlamentari di entrambi gli schieramenti, il governo manda il sottosegretario leghista Natalino D’Amico che non entra assolutamente nel merito della vicenda, se non per vantare i successi raggiunti dall’esecutivo sul contrasto alle mafie. «Il governo nell’aula della Camera –scrivono la Napoli e Laratta – ha taciuto sugli attentati numerosi e sulle tantissime minacce ai danni dei magistrati reggini: sul perché di questi attentati – particolari e anomali – e sui possibili mandanti e beneficiari».

L’analisi è ancora più netta e dettagliata: «nulla quindi sul clima da “strategia stragistica” di tipo palermitano, sui depistaggi, sulle automobili lasciate cariche di armi ed esplosivi, soprattutto sul chiaro e ormai accertato ruolo dei Servizi e della massoneria deviati, sulla gravissima vicenda del tritolo fatto trovare nel Municipio reggino quando era sindaco Scopelliti». «Il ministro Maroni – aggiungono i due parlamentari – avrebbe dovuto dirci perché pezzi dello Stato girano per le strade di Reggio con esplosivi ed armi».  Strategia stragista, ruolo dei servizi e della massoneria, pezzi dello Stato che girano con esplosivi. Gli ingredienti ci sono tutti per avere un clima torbido e pieno di sospetti. Come nella Palermo del 1992, ma con una ‘ndrangheta molto più insidiosa e più addentrata nei meandri dei poteri forti e occulti del nostro Paese. A raccontarlo con molta precisione fu il collaboratore di giustizia siciliano Tullio Cannella che ha vissuto in prima persona molte delle trame che hanno segnato il biennio 1991 – 1993.

Una strategia stragista dove, secondo alcune ricostruzioni, anche altre organizzazioni criminali hanno avuto un ruolo attivo. Come la ‘ndrangheta, perché, ricorda Cannella riportando le frasi dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino: «la vera massoneria è in Calabria e che in Calabria hanno appoggi a livello di servizi segreti». Diciotto anni fa, quando le cosche calabresi avevano un ruolo secondario rispetto a quello di Cosa nostra. Oggi, presumibilmente, i rapporti con i settori “deviati” della Repubblica sono ancora più solidi, tenuti insieme dal collante rappresentato dall’impero economico delle ‘ndrine: miliardi di euro frutto di traffici illeciti e controllo pressante del territorio.

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