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Il «vino nuovo» che dà speranza alla Puglia

Di Toni Mira* il . Puglia

«Da questa terra deve partire il messaggio che si possono “confiscare” alla mafia anche le persone, non solo i beni. È dunque naturale che possa trovare un lavoro su queste terre chi ha cominciato un percorso di cambiamento». Così Alessandro Leo, presidente della cooperativa “Terre di Puglia-Libera Terra”, spiega la scelta di assumere Massimiliano. E non solo lui. Sui campi hanno lavorato altri cinque detenuti (non mafiosi), e anche cinque immigrati. «Anche il nome che abbiamo dato al vino (Hiso Telaray, un immigrato albanese, ucciso nel 1991 per essersi ribellato ai caporali, ndr) è legato ai migranti, è un discorso di giustizia. Loro erano stati “confiscati” dalla mafia». Ma è anche «la testimonianza che è possibile lavorare in regola. Non possiamo cambiare il mondo da soli, ma è un importante segnale far lavorare nella chiarezza gente che ha sbagliato, come Massimiliano. Vogliamo dimostrare concretamente che è possibile cominciare da queste terre un percorso per vivere diversamente. Se tutti facessero almeno un’assunzione molti problemi si potrebbero superare».

I soci della cooperativa sono 12, ma a lavorare sono 20, compresi gli operai, oltre a una cinquantina di stagionali. Gli ettari coltivati sono 62: 35 a vigneto, 20 a seminativo, 7 a uliveto, oltre a quelli dell’Istituto tecnico agrario di Ostuni col quale è in corso una collaborazione. La principale produzione è il vino: due rossi e due rosati per un totale di 120mila bottiglie. Poi l’olio extravergine d’oliva: cinquemila bottiglie di “Colline di Nardò” e altre cinquemila di “Ogliarola salentina”, da ulivi millenari. Dal grano di Mesagne i tarallini e le friselline. E ancora 170mila bottiglie di passata di pomodoro, 10mila barattoli di pomodorini seccati e carciofini sottolio. Da marzo la cooperativa ha avuto assegnata la grande villa del boss Antonio Screti, cassiere della Scu, con annesso settore produttivo. Dove si sofisticava il vino ora si faranno vini di alta qualità. «È il simbolo di quello che era prima e di quello che può essere. Con varie iniziative abbiamo fatto entrare gli abitanti, ora è loro. E si comincia a capire che non conviene più essere coi mafiosi». Si organizzeranno “visite guidate alla villa del mafioso”. Intanto la scorsa estate ci hanno dormito 350 volontari provenienti da tutta l’Italia che hanno partecipato ai campi di lavoro.

da L’Avvenire*

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