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Arrestato il latitante Franco Li Bergolis

Di Gaetano Liardo il . Puglia

Giovane, spavaldo e
potente. Così può essere descritto Franco Li Bergolis, il
boss della mafia garganica arrestato ieri a Monte Sant’Angelo, nel
foggiano. Trentadue anni, da due latitante, coinvolto in traffici di
droga, armi, tabacchi esteri lavorati, omicidi, estorsioni. Un curriculum
di tutto rispetto che ha fatto diventare il giovane rampollo della famiglia
Li Bergolis capo di una tra le più violente organizzazioni criminali
della regione. Una mafia nata povera e rurale, ma capace di trasformarsi
in una struttura moderna e di controllare una zona ampia del foggiano
a ridosso di San Giovanni Rotondo, la città di Padre Pio.

Una mafia capace di
stringere forti alleanze per consolidare traffici, poteri e soldi. Sinergie
solide con i Romito di Manfredonia, città dalla quale le due famiglie
riuscirono ad estromettere la famiglia Mangini ed imporre la legge del
racket. Il sodalizio tra i Romito e i Li Bergolis può contare di appoggi
“pesanti” negli ambienti mafiosi. Dai De Stefano di Reggio Calabria
al clan Zaza – Mazzarella di Napoli e ai Rinaldi di San Giovanni a
Teduccio.

L’alleanza tuttavia
non regge. Le due famiglie nel 2004 vengono investite dall’operazione
“Iscaro – Saburo”, decine di ordinanze di custoria cautelare e
un lungo processo che indebolisce i Li Bergolis. Dalle carte processuali
viene fuori il ruolo di “confidenti” giocato dai Romito, a scapito
della famiglia alleata. «Le sentenze assolutorie nei confronti di ROMITO
Francesco detto “U’ Matinatese” e dei figli Franco, Michele Antonio
e Mario Luciano – si legge nella Relazione 2009 della DNA – avevano
messo in risalto il loro ruolo di “confidenti” dei Carabinieri.
Tale circostanza, più volte ripresa anche dagli organi d’informazione,
ha evidentemente creato una profonda spaccatura nel “Clan dei Montanari”
determinandone la divisione in due gruppi contrapposti: “li Bergolis”
e “Romito”»

Divisione, quindi guerra.
O meglio una seconda guerra quella che i Li Bergolis combattono contro
i Romito, dopo quella ventennale combattuta, e vinta, contro le famiglie
Primosa – Alfieri – Basta di Monte Sant’Angelo. La nuova faida,
segnata dall’omicidio di Franco Romito, proietta Franco Li Bergolis
ai vertici della mafia garganica, quella dei clan dei montanari. Il
ruolo prominente, tuttavia, non mette il boss al riparo dalla magistratura.
Nel processo contro le famiglie garganiche, scaturito dall’operazione
“Iscaro – Saburo”, Li Bergolis è condannato all’ergastolo in
primo grado a Foggia e in appello a Bari. Riesce a far perdere le proprie
tracce, ma non sfugge alla tentazione di proclamarsi innocente. Lo fa
in modo plateale, nel bel mezzo della faida con i Romito, scrive una
lettera aperta al Presidente della Repubblica e al ministro Maroni,
pubblicata lo scorso 11 luglio dalla Gazzetta del Mezzogiorno. «Sono
innocente. Mi perseguitano» – scrive Li Bergolis – «chiedo un processo
giusto», un «aiuto come cittadino italiano al presidente Napolitano,
al ministro Maroni», affinchè «guardino attentamente al mio processo
che sto svolgendo in Corte d’Assise d’Appello di Bari, che soprattutto
venga svolto correttamente perchè fino ad oggi, e sono più di sei
anni, è stato svolto come un libero convincimento e senza guardare
se ci sono prove a mio carico».

Spavaldo il boss, ma
la risposta l’ha ricevuta ieri: le manette dei carabinieri ai polsi
e l’ergastolo da scontare.

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