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Il “Gioco è fatto”

Di Antonio Turri il . Lazio

L’ennesimo coinvolgimento
di uomini della Banda della Magliana nell’operazione anti usura e antiriciclaggio,condotta
dalla Polizia di Stato,  denominata  “il gioco è fatto”
dimostra, a mio avviso, come quel sodalizio criminale non abbia mai
smesso di operare nella Capitale e nel Paese.

Il paziente lavoro
investigativo degli uomini della Squadra Mobile romana ha condotto all’arresto
di 11 persone e ha permesso di  indagare noti esponenti della
criminalità organizzata romana, campana ed insospettabili professionisti
ed imprenditori capitolini.

Questa indagine rende
del tutto evidente   che sostenere inattiva e debellata la
Banda della Magliana, dopo le inchieste giudiziarie degli anni ’90,
equivale ad affermare che  il maxiprocesso di Palermo è stato
il de profundis per la mafia.

Il che non corrisponde
purtroppo a verità. L’indagine disposta dalla Direzione distrettuale
antimafia di Roma è partita  due anni fa subito dopo l’omicidio
di Umberto Morzilli, esponente storico della banda, avvenuto nel febbraio
del 2008. “Umbertino” fu freddato a colpi di pistola  nel
quartiere Centocelle di Roma con una tipica esecuzione mafiosa. Morzilli
era sicuramente un personaggio di spessore della mala romana e costituiva
il “trait d’union “ tra l’ala militare del nuovo soggetto criminale
in cui si va trasformando la  Banda della Magliana e un certo mondo
degli affari nella Capitale. Morzilli era tra l’altro rimasto coinvolto
in vicende giudiziarie con l’immobiliarista Danilo Coppola , personaggio
tra i più discussi di quella particolare categoria di imprenditori
laziali, prosaicamente definiti “i furbetti del quartierino”. 

I capitali e i 
rapporti dei quali con il mondo della c.d. economia legale devono essere
ancora in gran parte esplorati. Poco più di un anno dopo la tragica
fine di Morzilli, nel giugno del 2009,  i Killer uccidono ad Acilia,
periferia a sud di Roma, Emidio Salomone,un esponente della “Magliana”
che non aveva compreso le nuove dinamiche criminali romane. Prima di
loro, erano stati giustiziati i narcotrafficanti della “banda”:
nel 1997 Salvatore Nigro, nel 2002 Paolo Frau e nel 2005 Giuseppe Valentini.
Tutti in agguati consumati con l’inconfondibile modus operandi mafioso
che lasciava chiaramente intendere a chi restava che non era più il
tempo per i navigatori solitari del crimine.

Anche questa volta,
volendo negare l’evidenza ed assecondando una politica che nega la presenza
delle mafie a Roma, si corre il rischio di leggere questa ennesima vicenda
criminale come scollegata dai numerosissimi altri fatti che hanno come
protagonisti gli ex uomini d’oro della Banda. Dalla fine degli anni
’90 in ogni episodio criminale di spessore che avviene a Roma e dintorni
c’è lo zampino degli ex soci di Renatino De Pedis, Maurizio Abbatino
e Franco Giuseppucci e dello storico cassiere del clan criminale il
noto Enrico Nicoletti. Tutti personaggi ammantati da un alone di mistero
e in rapporto con poteri che definire forti è poca cosa. Basti citare
la vicenda della sepoltura del De Pedis, o  del rapimento di Emanuela
Orlandi.

Stupisce lo stupore
del sindaco Alemanno e di quanti non si avvedono della sequenza impressionante
di episodi criminali violenti che si verificano nella Capitale. Sono
innumerevoli, negli ultimi anni, le attività illegali che colpiscono
e condizionano settori vitali dell’economia romana.

Lo sviluppo dell’usura
e del traffico delle sostanze stupefacenti, solo per citare gli affari
più redditizi del crimine romano, sono  quasi del tutto controllati
da clan autoctoni  a Roma e nel Lazio, in associazione con i numerosi
esponenti delle cosche calabresi o della camorra, casertana in particolare,
i cui esponenti sono da anni residenti in questa Regione. Molti capo
mafia hanno deciso di risiedere nella Città Eterna, nel suo hinterland
o sul litorale laziale. Queste scomode presenze anche di tipo anagrafico,
seppur non ignorate da pezzi della politica e dell’economia, hanno fatto
sì che dopo i regolamenti criminali dei conti tra i nuovi arrivati
e gli ex della Banda della Magliana, o della mala del basso Lazio (
si vedano gli atti del processo  “Anni ’90”), si siano raggiunte
le inevitabili pax mafiose con le relative spartizione del territorio
e la creazione di vere e proprie consorterie mafiose al momento miste,
(criminalità organizzata romano – laziale, campana, calabrese e siciliana)
o peggio  in fase di ulteriore evoluzione sia sotto il profilo
etnico (collaborazione tra le mafie italiane e quelle straniere, in
particolare la cinese, la nigeriana, la russa e la magrebina). Per fare
alcuni esempi basta citare l’operazione della Dda di Roma condotta tra
Fondi e Roma che porta non a caso il nome di “Damasco I e II”, e
che vede implicati, per vicende di mafia,  personaggi laziali,campani,calabresi
e siriani.

Altro lapalissiano
esempio è costituito dalla vicenda giudiziaria seguita allo scioglimento
per condizionamento mafioso del comune di Nettuno. In questa vicenda 
sono stati coinvolti esponenti della ‘ndrangheta, imprenditori e politici
laziali ancora attivi in quell’area. Così come sono illuminanti per
consistenza e ubicazione gli innumerevoli sequestri e le confische di
beni a Roma e nel Lazio. Questi beni immobili sono la punta dell’iceberg
del “lavoro” delle mafie in una regione  dove siamo ben oltre
i livelli di infiltrazione e dove dovrebbe avviarsi una ben più incisiva
lotta di prevenzione sociale  e repressione delle collusioni politico-imprenditoriali
.

Questo nuovo fenomeno
di aggregazione criminale  può essere definito: “Quinta mafia”
ed è costituito da settori delle mafie tradizionali provenienti dal
sud d’Italia, da esponenti della criminalità locale, come nel caso
dei sopravvissuti della Banda della Magliana, o dei clan del Sud Pontino
operanti nell’area che da Minturno arriva sino a Latina, passando per
il Circeo, salendo sino a Roma e Civitavecchia.

A questi rappresentanti
dei mafiosi con la pistola si aggiungono, in ruoli non certo secondari,
esponenti della politica,professionisti  ed imprenditori locali
(colletti bianchi) senza scrupoli che sono parte attiva e costituente
di questa nuova forma di mafia che è penetrante e potente.

Questi sono i fatti
e le evidenti conclusioni anche per quest’ennesima operazione di polizia.
La Banda della

Magliana non è morta,
ha subito un processo di osmosi o trasmigrazione criminale entrando
a far parte di quella nuova holding del crimine che chiamiamo: la “Quinta
mafia” che tenta ed è capace di trasformarsi in sistema culturale,
sociale, economico e politico. Una cosa è certa questa operazione della
magistratura e

della Polizia, così
come il lavoro dell’Arma e della Guardia di Finanza a Roma e nel Lazio
,dimostra che sono stati individuati i nuovi meccanismi di intervento
criminale delle mafie e la loro evoluzione e che questi gruppi si possono
colpire. C’è un ritardo della politica e di noi cittadini a comprendere
e ad operare per quello che ci compete. Questo ritardo può e deve essere
colmato praticando la democrazia e pretendendo la giustizia sociale
e i diritti per tutti senza mediazioni di mafie e bande variamente composte.

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