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Dal nord al sud, l’usura e le mafie

Di Norma Ferrara il . Lazio

Nell’arco di dieci anni la criminalità organizzata è diventata una dei protagonisti del mercato usuraio. Sempre più le cosche e i clan compaiono nelle cronache giudiziarie che raccontano di usura. Questa fotografia scattata dal rapporto “L’Italia incravattata”a cura di Sos impresa e Confesercenti analizza la trasformazione e l’ascesa delle grandi holding economico – criminali anche grazie all’attività usuraia di natura mafiosa.

“Come in un ingranaggio ben oliato – si legge nel rapporto – non solo la Mafia spa è penetrata dentro le imprese e ha affinato il suo core business, ma gli utili di usura possono essere reinvestiti in attività illecite, fra tutte il traffico di cocaina”.  Soprattutto ‘ndrangheta e camorra sono protagoniste di questa trasformazione lenta che in alcuni anni ha cambiato il volto dell’usuraio e di questo fenomeno. Una saldatura di interessi quella fra prestito usuraio, riciclaggio e racket, che ha portato i clan mafiosi a fare di un business non solito per le mafie, un mercato in espansione capace di rimpinguare le casse dell’organizzazione. 

Sicilia, Campania e Lazio fra le regioni in cui il fenomeno, considerati una serie di parametri, risulta particolarmente incisivo e colpisce numerose vittime. Nell’isola in particolare è Messina la provincia che fa registrare il maggior numero di denunce e operazioni antiusura. Dall’inchiesta sul mercato comunale, passando per l’operazione Nikita (contro un’azienda poi fallita nel 2004) sino all’operazione Pozzo (tredici persone indagate per un’inchiesta legata agli appalti pubblici esercitavano anche attività usuraia), la città dello stretto si conferma il capoluogo siculo dell’usura. Anche altre province siciliane sono finite nel mirino delle inchieste delle magistratura. Sodalizi criminali con attività usuraia agivano con violenza e pervasività nell’agrigentino (operazione Easy money) a Gela (operazione Prodomo sua), a Siracusa (operazione Shylock) sino a Marsala. Quest’ultima si rivela, nel trapanese, la città nella quale l’usura risulta essere uno dei reati più devastanti. A Catania, infine, “l’usura è diffusa in modo capillare e coinvolte ampi strati della popolazione cittadina, come quella rurale ed è praticata da alcune cosche di Cosa nostra” (come emerge dall’operazione Abissi 2).

‘Ndrangheta e usura, un binomio sempre più stretto, per una organizzazione criminale capillare e radicata sul territorio, capace di sottrarre risorse alla Calabria e di re-investirle al di là dell’oceano. L’operazione Anacoda – raccontata nel rapporto sull’usura  – fa luce sulla particolare presenza del fenomeno concentrato nella provincia di Cosenza. Qui una sorta di banca occulta in città, gestita da insospettabili professionisti per conto dei clan esercitava prestiti a tassi usurai. Anche Catanzaro e Vibo Valentia sono stata attraversate da un numero consistente di inchieste che hanno svelato meccanismi simili con i quali le ‘ndrine riuscivano ad esercitare quest’attività e inserirla nel circuito del mercato mafioso – affaristico. I Muto, i Mancuso, i Limbadi, i La Rosa, gli Anello – Fruci, i Fiarè. Sono solo alcune delle famiglie coinvolte, secondo gli inquirenti, nella rete usuraia che opera, fra le tante altre attività, sul territorio calabrese. Anche la Puglia si scopre non estranea al fenomeno, anzi. Il rapporto di Sos impresa sottolinea quanto i clan, secondo molti ormai dismessi, stiano invece riorganizzando i propri affari sul territorio, e abbiano individuato nell’usura uno degli strumenti più efficaci per fare cassa e condizionare il territorio e la sua economia. Da Bari a Barletta a Lecce il vorticoso giro di usura, prestiti, crediti, pone la Puglia dentro le cosiddette “regioni a rischio” piazzando, come ulteriore dato negativo, la città di Taranto quarta nella classifica delle province stimate in relazione al numero di denunce e di procedimenti penali, rapportati con il numero delle attività registrate alla Camera di Commercio (su quel medesimo territorio).

L’usura è anche un fattore fortemente influenzato da condizioni economico – culturali e sociali. La Campania, sottolineano i curatori del rapporto, mostra proprio questa peculiarità. “qui l’usura affonda le sue radici nelle consuetudini locali e mantiene una forte presenza, estesa, radicata nel costume e nelle tradizioni”. Guardando alla Campania attraverso questa lente d’ingrandimento quello che si intravede è un vero e proprio “sportello bancario sommerso” capace di incontrare la naturale vocazione di supplenza e assistenza su cui fa perno la camorra in queste aree. Nonché quella affaristica. Molti duri colpi sono stati inferti alla holding dell’usura dagli inquirenti, da Napoli a Caserta, cercando di contrastare il fenomeno e gli interessi della camorra in questa fetta di mercato di introiti illegali e criminali. I clan maggiormente coinvolti sono i Vollaro di Portici, i Cesarano di Castellammare e Pompei, i Crimaldi e Tortora di Napoli nord,  i Terracciano ai Quartieri spagnoli, solo per citarne alcuni dei più attivi.

Avanza inesorabilmente il fenomeno nel centro Italia, spesso anche qui gestito dai clan. Il Lazio in testa fa registrare un numero altissimo e un tradizionale radicamento nel territorio di soggetti dediti a questa attività illegale., tanto da fare di Roma, “la capitale dell’usura”. Ma anche l’Umbria, Marche e la Toscana, il triangolo verde dell’Italia centrale, sono colpiti, in maniera diversa dal fenomeno usuraio che coinvolge un numero di vittime insolito. Insospettabili, da queste parti, sono gli “strozzini” che mettono sotto scacco piccole e medio imprese e famiglie, in questo momento, alle prese con la perdurante crisi economica. Al nord invece l’usura salda nuovamente i propri interessi in maniera stabile con i clan mafiosi. E’ il caso della Lombardia, che secondo gli inquirenti, è destinata a diventare la capitale nazionale dell’usura. “Sono migliaia – si legge nel rapporto – a Milano e in Lombardia, le vittime dell’usura, eppure le denunce continuano ad essere pochissime. L’usura a Milano ha il volto spicciolo del pensionato, quello perbene della società finanziaria degenerata e quello arcigno del malavitoso, ma anche quello dei prestatori non legati alle mafie, ma non per questo meno aggressivo”.

Ammontano a circa 400 i casi registrati nella città dove il passaggio di ingenti quantità di denaro – come viene sottolineato nel rapporto – porta ad una frattura sempre più netta fra il circuio legale e quello illegale del credito, il tutto a vantaggio dell’usuraio”. Veneto e Liguria le altre due regioni del nord del Paese che fanno registrare inchieste di usura e alcune denunce delle vittime, a volte rivolte proprio contro istituti di credito. In Emilia Romagna – infine – nel triangolo fra Modena, Reggio Emilia e Parma i curatori del rapporto mettono in evidenza la stretta relazione fra la presenza di gruppi camorristici del casertano e alcune operazioni antiusura che hanno raccontato la presenza di questo fenomeno su territori “non a rischio”.     

Fonte: L’Italia incravattata – a cura di Lino Busà e Bianca La Rocca (Sos impresa)

Maggiori informazioni: www.sosimpresa.it

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