Oltre il “cono d’ombra”
Dopo l’escalation di attentati a magistratura, ultimo quello all’abitazione del procuratore Di Landro e a molti giornalisti in terra di Calabria, e in vista della manifestazione che si terrà sabato prossimo 25 settembre a Reggio, Libera Informazione ha intervistato Michele Prestipino, procuratore aggiunto nella città reggina e già esperto conoscitore della realtà mafiosa siciliana. Un’occasione per parlare di ‘ndrangheta, media, ramificazioni al Nord e di un attento metodo che potrà riuscire, come nella recente “Il Crimine” a sferrare duri colpi alla mafia calabrese.
Dottor Prestipino, cosa ha significato
l’attentato sotto casa del procuratore Di Landro e come si inserisce
nel lavoro svolto ultimamente a Reggio dalla Magistratura?
Va innanzitutto detto che questo fatto,
estremamente grave, segue altri fatti di analoga natura: minacce,
atti intimidatori, che si sono susseguiti a partire dall’inizio
dell’anno, dall’ attentato agli uffici della Procura Generale di
Reggio Calabria, e che hanno riguardato non soltanto magistrati, trai
quali il procuratore della Repubblica, dottor Pignatone e alcuni
colleghi sostituti, ma anche, e questo è un aspetto particolarmente
significativo per capire la vicenda, diversi giornalisti di
quotidiani locali calabresi. Questo è molto importante per
interpretare il contesto in cui sono avvenuti questi atti
intimidatori; perché, evidentemente, nell’ultimo periodo c’è stata
una maggiore attenzione dei media alle vicende calabresi, che ha
segnato una rottura, una inversione di tendenza, seppure parziale,
con il passato. Quando le vicende calabresi non facevano notizia,
quando della ‘ndrangheta non si parlava. Questo “cono d’ombra”,
questo silenzio informativo, è stato una delle condizioni che ha
consentito alla ‘ndrangheta di rafforzarsi. Questi atti sono quindi
un palese segnale di fibrillazione e di nervosismo da parte di un
contesto ‘ndranghetista che avverte una situazione di pericolo come
conseguenza delle numerose attività investigative e iniziative
giudiziarie che negli ultimi due anni sono state avviate a Reggio
Calabria. In piena sintonia di intenti con i diversi uffici
giudiziari, la Procura della Repubblica e le forze di polizia hanno
rafforzato i propri ranghi conseguendo risultati di grande
significato.
Potrebbero essere alcuni cambi in
procura a Reggio ad aver reso più palese questa inversione di
tendenza e aver segnato la reazione delle ‘ndrine?
Il successo delle iniziative
giudiziarie è frutto di diverse componenti: della Procura,
dell’impegno della giudicante, dei sacrifici delle forze dell’ordine.
Probabilmente il dato nuovo è la sintonia di intenti, è il trovarsi
di fronte a una squadra più compatta rispetto a prima. Credo sia
sotto gli occhi di tutti che nell’ultimo periodo si sono raggiunti
risultati che sono stati definiti dagli organi istituzionali e dallo
stesso Presidente della Repubblica di grande importanza e
significato.
In Procura, per effetto della legge
della rotazione degli incarichi dei direttivi e semidirettivi, opera
da due anni una nuova direzione. Come spesso ha sottolineato il
procuratore, nell’ufficio si sono fuse più esperienze: quella di chi
già ha già lavorato qui, e conosce bene questa realtà criminale,
quella dei giovani sostituti che la nuova dirigenza ha saputo
valorizzare, l’esperienza infine di chi lavorando altrove aveva
maturato professionalità nelle indagini su altri contesti criminali
come quello siciliano.
Partiamo da qui: lei che ha operato
anche in Sicilia quali differenze trova nella società calabrese, la
stessa che il 25 si riunirà a Reggio?
Ci sono delle differenze evidenti e che
derivano innanzitutto da fattori oggettivi: il primo è che la
Calabria ha un numero di abitanti nettamente inferiore rispetto a
quello della Sicilia. Ma il numero degli affiliati alla ‘ndrangheta
in Calabria è maggior di quello degli organici a Cosa Nostra in
Sicilia. Tutto ciò in una situazione di maggior isolamento, anche da
un punto di vista geografico con le conseguenti problematiche di
collegamento. Il silenzio informativo sulle vicende calabresi segna
un ulteriore differenza e poi non può essere dimenticato e
sottovaluto il fatto che Cosa Nostra negli anni ’90 abbia fatto una
scelta strategica di attacco frontale allo Stato, rendendosi
responsabile delle stragi del ’92 e del ’93. Scelta dalla quale è
rimasta invece estranea la ‘ndrangheta e questo naturalmente ha
determinato conseguenze che hanno segnato profondamente la differenza
tra le due realtà. Sulla Sicilia si sono concentrate attenzioni da
tutta Italia e da tutto il mondo: i mass media, l’ impegno delle
Istituzioni, sia pure con molte contraddizioni e con le “zone
grigie”, c’è stato un impegno corale nell’azione contro Cosa
Nostra. Da una esperienza terribile come quella delle stragi è
scaturita una risposta forte da parte dello Stato, sono maturati
mutamenti che hanno segnato in profondità le dinamiche non soltanto
giudiziarie, ma anche sociali, economiche. Negli ultimi anni abbiamo
registrato le decise prese di posizione di Confindustria,
l’esperienza delle associazioni antiracket e quella di “Addio
Pizzo”, che ha un connotato di originalità molto elevato.
Una scelta di azione, quella delle
‘ndrine, che quindi ha inibito queste reazioni?
Tutto questo in Calabria non c’è stato
perché in Calabria non c’è stato l’attacco frontale allo Stato. La
La ‘ndrangheta ha fatto altre scelte, si è rafforzata nel suo
territorio di origine, nel suo “fortino”, per espandersi verso
l’esterno e ramificare il proprio potere. Nel corso degli anni Cosa
Nostra ha visto lentamente, sebbene con un processo graduale,
decrescere il proprio potere e la propria presa sulla società. In
Calabria invece la ‘ndrangheta è riuscita a rafforzare ulteriormente
il controllo sociale e la propria forza criminale.
Stupisce che anche davanti a inchieste
enormi come la recente “Il Crimine” che vede il radicamento al
nord delle ‘ndrine, l’attenzione mediatica scemi molto presto, che ne
pensa?
C’è un dato di fatto oggettivo: la
Calabria e i fatti calabresi non fanno notizia. Ovviamente è
comprensibile che , nella percezione comune, bombe e le stragi,
colpiscano le coscienze nell’intimo mentre invece l’infiltrazione
criminale graduale, lenta, pervasiva nel tessuto economica e sociale,
seppure presenti un tasso di pericolosità altissimo, tuttavia non è
ugualmente avvertibile nei suoi esatti termini da parte di tutti
quanti. Questo è un problema dell’informazione, far circolare le
notizie, evidenziare i pericoli dell’inquinamento che derivano dalla
circolazione di enormi masse di capitali sporchi verso il “nord”
del mondo.
Rimanendo su “il Crimine”, come
possiamo delineare i rapporti che esistono tra le forze economiche
insediatesi al nord e le case madri calabresi, da quanto emerge dalle
indagini?
L’indagine ricchissima di spunti che va
sotto il nome di “Crimine” dimostra che la ‘ndrangheta è
un’organizzazione di tipo unitario, di tipo verticistico che ha la
sua casa madre in provincia di Reggio Calabria dove è la testa e
dove risiede il “comando strategico”. Ci sono poi proiezioni
esterne che vanno dal centro al nord Italia, dal cuore dell’Europa,
al Nord America all’Australia che tengono relazioni assidue con la
casa madre dalla quale ricevono indicazioni e ordini che seguono per
tutto ciò che riguarda le scelte di tipo strategico, ma che non
riguarda la quotidianità delle le attività criminali. Questo è
dimostrato da elementi di prova inconfutabili: in Lombardia quando
uno dei capi delle locali ha tentato di rendere autonome dalla casa
madre le strutture lombarde, è stato “licenziato” dall’organo
di vertice“La Provincia” o “Crimine” che dir si voglia.
Mi sembra alquanto indicativa…
Questo dimostra in
modo chiaro quello che dicevo prima. In secondo luogo va sottolineato
che le proiezioni esterne della ‘ndrangheta hanno un qualcosa di
originale e di assolutamente particolare che è quello che tutti gli
analisti hanno chiamato “il processo di espansione per clonazioni
delle cellule criminali”. Cioè che, a differenza di altre
organizzazioni criminali, che utilizzano il nord Italia e l’Europa
come luoghi dove investire le risorse illecitamente accumulate, la
‘ndrangheta non solo elegge questi territori a luoghi di
investimento, ma tende a ricreare su questi territori le condizioni
di origine, ovvero quelle nelle quali ha creato, accumulato e
legittimato il proprio potere criminale. Per cui succede che paesi
della cintura milanese possano finire per assomigliare in qualche
modo, per caratteristiche diverse alla sola presenza criminale, ai
paesi della Calabria. Questo è un dato significativo perché, noi
l’abbiamo sottolineato spesso, là dove arrivano gli uomini con le
valigie con i soldi della ‘ndrangheta, dopo arrivano i mafiosi e, se
necessario, arrivano i kalashnikov.
Nel Nord e anche nel cuore
dell’Europa…
Si, la stessa vicenda di Duisburg,
nella sua oggettività, dimostra esattamente questo: Duisburg non era
solo crocevia degli investimenti illeciti della ‘ndrangheta, ma era
un luogo dove erano state insediate basi logistiche e operative.
Tutti sanno che i capi mafiosi latitanti continuano a esercitare il
loro potere mafioso e per poterlo fare devono trascorrere la
latitanza nei loro territori. Il fatto che i boss calabresi siano
latitanti nel nord Italia o addirittura in Europa non significa che
hanno perso il loro potere, ma significa che lo stanno esercitando
nei nuovi “territori conquistati” in collegamento continuo con la
casa madre.
Come aggredire questo tipo di
criminalità, dunque?
L’originalità della realtà criminale
‘ndranghetista è un aspetto di cui occorre tenere conto se la si
vuole contrastare in maniera efficace. Più che in altre esperienze
di contrasto, contro la ‘ndrangheta serve il coordinamento delle
iniziative investigative e processuali come dimostra l’attività
condotta con la Dda di Milano Serve il collegamento anche con le
autorità giudiziarie straniere. Perché non si combatte la
‘ndrangheta operando solo a Milano se non lo si fa a Reggio, e non la
si combatte a Reggio se non lo si fa anche Duisburg e in Lombardia,
nei luoghi dove si sono insediate le sue proiezioni esterne.
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