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‘Il sangue verde’

Di Anna Foti* il . Calabria

‘Anche noi abbiamo il sangue rosso’. Sembra scontato ma in realtà non lo è se a dirlo è un cittadino africano che dell’Italia e della Calabria ha conosciuto solo i cartoni, il degrado della ex cartiera, le angherie del caporalato, le fatiche del lavoro di Rosarno.  I braccianti di Rosarno, una volta rosarnesi doc, passati dalla ricchezza dei frutti delle terre alla sottomissione alla guardania delle ‘ndrine, passate a loro volta dai campi ai cantieri e all’economia più complessiva del territorio. I braccianti di Rosano, oggi africani, sfruttati ma con il coraggio di denunciare e manifestare contro il lavoro nero, le ingiustizie e la discriminazione.  

John, Amadou, Zongo, Jamadou, Kalifa, Salis, 7 i volti come sette le storie di una sola dignità, quella umana, più volte calpestata ad essere stati raccontate da Andrea Segre nel documentario, prodotto da ZaLab, coprodotto da Aeternam Films, intitolato “Il sangue Verde”, patrocinato dalla sezione italiana di Amnesty Internazionale e vincitore del Premio Selezione Cinema-Doc a Venezia. 

Storie di speranze disattese, di violenza ma anche di coraggio, di una voglia di riscatto mai sopita. Il racconto si intreccia con la testimonianza del sindaco storico dell’antica Medma, Giuseppe Lavorato che rievoca cosa quei campi di raccolta, oggi emblema di sfruttamento e strapotere mafioso, abbiano rappresentato per la comunità dei rosarnesi prima dell’avvento delle ‘ndrine e della crisi del settore agricolo, oggi piegato da un’economica particolarmente in declino. Poi sono quei sette volti ad avvicendarsi per raccontare ancora e ancora quella verità che già adesso a distanza di dieci mesi rischia di non essere più raccontata. Solo una parentesi liquidata con trasferimenti in blocco, in massa.  Rimangono due inquietanti domande. Cosa è cambiato a Rosarno da allora? Dove sono state portate quelle anime in corpi con la pelle nera? Forse nello stesso luogo in cui sono coloro che in fuga dalla guerra e dalla miseria non riescono più a solcare in imbarcazioni di fortuna le acque nazionali, forse in un luogo noto al leader libico Gheddafi, forse dove a breve, date le recenti dichiarazioni del premier Berlusconi in linea con la politica espulsiva del presidente Sarkozy, potrebbero essere trasferiti anche i cittadini di etnia rom.

Nel luogo della vergogna e dell’indecenza al punto da non potersi dire o sapere dove sia. Qualcuno però sa, perché si fa con il placet di un’opinione pubblica dormiente e di un’informazione compiacente che non rende tutto questo meno ingiusto o più dignitoso. Un giorno quel sangue verde potrebbe essere quello dei nostri figli. Su questa strada, se questa è davvero la strada, forse lo è già.   

* ReggioTv.it – Strill.it

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