Soccorso in mare
E’ sempre più problematico il rapporto tra Italia e Libia. Politicamente ma anche giuridicamente. La pratica dei respingimenti nei confronti dei migranti, i “clandestini”, la mancata applicazione delle norme relative al diritto di asilo, le mitragliate libiche nei confronti dei pescherecci italiani colpevoli di portare soccorso in mare ai disperati che cercano un futuro migliore nel nostro paese, sollevano dubbi e provocano indignazione. E’ utile, a tal fine, leggere il vademecum realizzato dall’Alto Commissariato per i Rifugiati e dall’Organizzazione Marittima Internazionale rivolto a comandanti delle navi, dei pescherecci, agli armatori, alle autorità di governo e a coloro i quali sono coinvolti alle attività di soccorso in mare. Sono tre le convenzioni internazionali che disciplinano la materia.
La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (Convenzione SOLAS) del 1974, la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (Convenzione SAR) del 1979, e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione UNCLOS) del 1982. Tre strumenti normativi che impongono obblighi e vincoli ai comandanti delle imbarcazioni e agli stati. Il comandante, in basse all’articolo 98 comma 1 della Convenzione UNCLOS, è tenuto, senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri a «prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita» e a «procedere quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo». La Convenzione SOLAS, al capitolo V, regolamento 33 obbliga «il comandante di una nave che si trovi in posizione di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza».
Lo Stato costiero ha l’obbligo di «promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare» (Convenzione UNCLOS, art. 98 comma 2); «di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste» (Convenzione SOLAS, cap. V, reg. 7). Infine ha l’obbligo di «garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare (..) senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona, o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata» (Convenzione SAR, cap. 2.1.10). Il diritto internazionale marittimo e il diritto internazionale sui rifugiati, infine, obbligano gli Stati a garantire lo sbarco in un luogo sicuro alle persone soccorse in mare. Una località, cioè, dove «la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie possono essere soddisfatte». Non Kufra, in Libia, dove l’Italia appalta al Raìs il “soccorso” ai disperati.
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