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Blow-up Calabria. Carlo Parisi, Assostampa:”Giornalisti minacciati? Tormentone dell’estate”

Di Norma Ferrara il . Calabria

Giornalisti nel mirino della ‘ndrangheta. Accade in Calabria dove dall’inizio dell’anno 16 giornalisti sono stati minacciati con lettere anonime, intimidazioni, avvertimenti, per aver fatto il proprio lavoro. Dagli articoli di cronaca, alle inchieste giudiziarie, i cronisti dei quotidiani regionali raccontano la delicata fase che la Calabria sta attraversando, le debolezze della politica e del mondo dell’economia. L’Osservatorio dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della stampa, “Ossigeno” ha acceso i riflettori su questo caso, lanciando l’allarme a livello nazionale e cercando di far uscire dall’isolamento i colleghi nel mirino delle ‘ndrine. Anche la società civile sta facendo fronte comune con i giornalisti costretti ad esercitare questo mestiere in una terra a “democrazia incompiuta”. Poco o niente è come sembra però in Calabria e su queste minacce si fa avanti il sindacato dei giornalisti calabresi, precisando: «vogliamo che vengano accertate le responsabilità, non si può generalizzare». Come un ingrandimento fotografico, alla maniera di Blow up, scopriamo con stupore che la realtà non è vista da tutti com’è. Il punto sulla situazione con Carlo Parisi, segretario associazione stampa Calabria.

16 giornalisti minacciati in Calabria dall’inizio dell’anno.  Qual è la posizione del sindacato in merito a questi episodi?

Chiediamo che si accertino le responsabilità  perché altrimenti si corre il rischio di confondere le acque. In Calabria quotidianamente, dieci, quindici, fra giornalisti, sindacalisti, politici, amministratori, ricevono lettere di minacce; ormai è diventato il tormentone dell’estate. Il problema centrale però rimane: è sufficiente una semplice lettera ricevuta da un giornalista, da un amministratore e da un politico per andare a mettere in moto “l’intera macchina” che crea confusione e distoglie l’attenzione dai problemi principali? C’è gente che effettivamente rischia la vita, in tutte le categorie professionali, e anche in quella dei giornalisti. Il timore è che una generalizzazione del fenomeno possa spostare l’attenzione dai problemi veri e poi possa far correre seri rischi a chi – effettivamente – è minacciato.

 Per capire meglio la sua posizione: lei pensa che queste lettere ricevute (con minacce e intimidazioni… ) non siano tutte autentiche?

Io non penso nulla, io faccio il giornalista e ritengo che le forze di polizia e gli investigatori debbano darci una risposta precisa. Io mi limito semplicemente a dire che ritengo eccessivo, per una semplice lettera anonima ricevuta da qualcuno farlo diventare un’eroe nazionale. Non è possibile che chiunque riceva una lettera di minacce il giorno dopo venga ospitato a “Uno mattina” (o in altri programmi) o che si facciano cortei e manifestazioni. Questa è un’offesa e un’ingiustizia nei confronti di chi viene ammazzato, oppure ha pagato seriamente con incendi di autovetture, con case devastate e altro. Non si può generalizzare e mettere sullo stesso piano tutto.

 D’accordo. Ma se non è tutto sullo stesso piano, qual è la situazione reale in cui vivono e lavorano i giornalisti in Calabria, oggi?

Ci tengo a precisare che i giornalisti non sono una categoria privilegiata. Noi chiediamo alle forze dell’ordine di fare chiarezza su tutto perché per alcuni colleghi che ricevono lettere anonime di intimidazione, ce ne sono anche altri che ricevono la stessa lettera di minacce ma forse nella loro vita hanno pubblicato, al massimo, qualche (notizia di, ndr) agenzia. Il rischio è questo: al verificarsi di questi episodi va da sé che la Prefettura, il Ministero degli Interni, si devono attivare per garantire una protezione. Questa proliferazione di interventi sottrae forze e risorse  che possono essere impiegate per le situazioni in cui effettivamente esiste un rischio per la vita di qualcuno.  In un incontro che abbiamo recentemente fatto a Roma il Capo della Polizia, Antonio Manganelli, si è impegnato a dare risposte concrete. Si sta svolgendo, in tal senso, un’indagine approfondita per accertare i casi (episodio per episodio)  per i quali è davvero necessaria una vigilanza o un sistema di protezione particolare. Questo perché si rischia di generalizzare per di più in una città, Reggio Calabria, che è la prima in Italia per il numero effettivo di scorte. Questo provoca un’anomalia che rischia di dissipare, forze e risorse, che possono davvero essere impegnate per combattere la criminalità organizzata.

Ammesso che queste indagini accertino la verità sui singoli episodi, al termine dell’inchiesta rimarrà un dato: alcuni giornalisti corrono un rischio personale continuando a fare il proprio lavoro, in quel giornale, in quella terra. In che modo il sindacato ha intenzione di operare per tutelarli ?

Il mestiere del giornalista è un di per sé rischioso, così come quello del politico, del magistrato e tanti altri. Ribadisco: non siamo una categoria privilegiata. Per quanto riguarda le tutele, noi siamo l’unica associazione stampa d’Italia ad avere un ufficio con due avvocati che sono a disposizione dei giornalisti e li hanno sempre assistiti, in tutto e per tutto, anche nei confronti degli editori. Non dimentichiamolo, viviamo in una regione in cui c’è gente che rischia la vita per due euro al pezzo. Soprattutto in merito a questo aspetto, siamo molto spesso intervenuti, con il patrocinio e l’assistenza gratuita nei confronti dei giornalisti che non hanno alle spalle “grandi giornali”. Per il resto, non è pensabile né ipotizzabile mettere scorte a tutti i giornalisti, anche perché sappiamo che sarebbe solo un’idea utopica.

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