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Tutti alla corte del Raìs

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Sembrava di assistere ad un vecchia
commedia, ma la realtà ha superato
anche l’immaginazione più
fantasiosa. Muhammar Gheddafi,
dittatore libico al potere dal 1969, nella sua
visita in Italia ha dato spettacolo. Cavalli,
amazzoni, l’immancabile tenda visitata dal
gotha dell’economia e della finanza del nostro
Paese. Baciamani e inchini hanno fatto da
contraltare ad affari e appalti, legando ancora
di più le sorti di importanti settori economici
italiani alla Libia. Quindi alle stravaganze
di un dittatore settantenne instabile e pericoloso.
Critiche? Poche, salvo delle timide
uscite delle forze di opposizione, ma non dal
Pd. 

L’alleanza con il raìs libico è una delle
costanti della politica estera italiana. Quello
che una volta veniva considerato un «enorme
scatolone di sabbia», si è trasformato nel
principale partner energetico del nostro Paese.
Petrolio e gas naturale. Enormi giacimenti
sfruttati dalle compagnie italiane per garantire
un rifornimento costante alla Penisola.
Un partner talmente importante e strategico
che l’Italia ha da sempre coccolato, tollerato
e difeso, mettendosi in una posizione difficile
anche nei confronti delle altre potenze dello
scacchiera euro – atlantico.
Il raìs libico non ha mai mantenuto una linea
politica internazionale stabile. E’ stato alleato
di Mosca, ma nemico degli alleati dei sovietici.
Fautore dell’unità del mondo arabo,
ma in rotta di collisione con la maggior parte
dei leader arabi. Africanista, impressionanti
i suoi abiti con le effigi dei principali leader
dell’indipendenza africana, e finanziatore dei
maggiori conflitti che insanguinano il continente
africano. 
Da sempre, tuttavia, prezioso
e scomodo alleato italiano, nonostante i due
Scud lanciati al largo di Lampedusa nel 1986
come ritorsione al bombardamento americano
contro la Libia. Nonostante figurasse nella
black list statunitense dei leader finanziatori
dei movimenti terroristi.
Partner energetico, poi economico e infine
prezioso alleato della politica della sicurezza
del governo Berlusconi. Infatti, per far fede
alla promessa elettorale di risolvere il problema
dei “clandestini”, la maggioranza ha
approvato la legge sui respingimenti, investendo
la Libia dell’onere, ben finanziato, di
occuparsi dei migranti. Senza andare molto
per il sottile sui metodi utilizzati dai libici per
“gestire” i migranti, anche se, con un po’ di
impegno, ci si può arrivare considerando che
imbarcazioni per il pattugliamento delle coste,
sistemi radar di controllo e le stesse carceri
– lager sono arrivati con i finanziamenti
di Roma. 
Tutti gli onori quindi alla Guida della Rivoluzione
libica. Ma anche numerosi imbarazzi,
specialmente nella maggioranza.  Non tanto
sulla questione dei migranti, che ha visto
dure prese di posizione da parte del vescovo
di Mazara del Vallo, monsignor Mogavero,
del segretario del Pontificio consiglio dei Migranti
monsignor Marchetto, le cui dimissioni
sono state prontamente accettate da Benedetto
XVI, e dalla Federazione della Stampa
che ha chiesto che ai giornalisti italiani venga
data la possibilità di visitare le carceri – lager
nel deserto. Imbarazzi e prese di distanza
sono stati provocati dalle stravaganze del raìs
e del suo triste spettacolo romano. Le lezioni
di Corano ad hostess debitamente pagate,
hanno riposto al centro del dibattito la questione
della cristianità italiana. Gli stessi leghisti,
artefici della politica dei respingimenti,
hanno dovuto giustificare i troppi onori al
dittatore di Tripoli affermando che a Roma si,
va bene, ma a Milano mai uno spettacolo del
genere. E sulla sorte dei migranti? Silenzio.
Assenso.

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