“Il nostro lavoro venne fermato dallo Stato”
Giuseppe Ayala, magistrato che prima della loro uccisione collaborò intensamente con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino alla Procura di Palermo, non sembra avere dubbi, “l’azione del pool antimafia non venne bloccata da cosa nostra ma da quelle istituzioni che avrebbero dovuto tutelarci”. La prova lampante, a suo avviso, va rintracciata nei nuovi filoni d’indagine avviati dalla Dda di Caltanissetta, attualmente diretta da Sergio Lari.
“Non conosco gli atti-dice il magistrato-ma per riaprire le indagini, come è avvenuto a Caltanissetta, devono sussistere ipotesi di lavoro veramente concrete ed attendibili”. Secondo Ayala, infatti, “siamo di fronte ad apparati dello Stato che avrebbero dovuto collaborare in maniera positiva con il sistema politico, invece alcuni settori deviati hanno deciso di difendere esclusivamente sé stessi e la loro azione”. Nella sua ricostruzione, inoltre, l’ex pm di Palermo cita il maxi processo, indicandolo alla stregua di una fondamentale fase nel percorso di contrasto alla criminalità organizzata.
“Lo Stato-aggiunge Ayala-decise, però, di fermare il suo moto proprio nel momento in cui stava ottenendo esaltanti risultati, troppo forte l’influenza di una parte istituzionale vicina alla criminalità”.
Insomma, “la mafia si era impossessata dello Stato”: questa la spiegazione posta da Giuseppe Ayala. Se da un lato, la Repubblica italiana riusciva a sconfiggere l’insurrezione delle Brigate Rosse, dall’altro, invece, doveva arrendersi all’incidenza mafiosa, “perché-stando alla disamina del magistrato-la partita conto cosa nostra non è mai stata veramente giocata”.
“Non vi è mai stata una netta separazione delle forze in campo-aggiunge-e quindi come si fa a vincere una competizione con squadre praticamente miste e con giocatori che si scambiano costantemente i ruoli?”. La ricostruzione condotta da Giuseppe Ayala, quindi, colpisce un punto nevralgico, a quanto sembra analizzato con molta attenzione anche dai magistrati nisseni, il rapporto ibrido fra uomini delle istituzioni e i massimi vertici della criminalità organizzata.
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