Il Senatur e la ‘ndrangheta
Ferragosto di lotta e di governo per gli uomini della Lega Nord, sugli scudi e in prima pagina mentre gli italiani si crogiolano al sole. Il ministro dell’Interno Maroni, insieme al collega alla Giustizia Alfano, da Palermo snocciolava i dati della vittoria del Governo Berlusconi contro le mafie italiche. A dire il vero, si tratta di una vittoria presunta tale perché, nonostante l’ottimismo ministeriale, siamo molto lontani dall’aver debellato il cancro mafioso nel nostro Paese, purtroppo. Da quello che è ormai il suo buen retiro di Ponte di Legno in Val Camonica, invece, il leader della Lega Nord Umberto Bossi rilasciava dichiarazioni sulle infiltrazioni delle mafie al nord e sulle difficoltà incontrate dal suo movimento nel cercare di trovare proseliti anche nelle regioni meridionali. Tra una canzone eseguita al pianoforte con i villeggianti e una battuta al vetriolo contro Napolitano ad uso dei militanti e dei giornalisti che lo tallonano giorno e notte, il Senatur ha trovato il tempo per lanciare l’allarme sull’aggressione mafiosa alle regioni del Nord: “Arrivano da tutte le parti. La Brianza ha molte infiltrazioni, perché c’è la possibilità di costruire”. Il riferimento alla Brianza non è casuale: la maggior parte degli arresti nell’ambito dell’operazione denominata “Il crimine”, portata a termine a metà luglio sull’asse Milano-Reggio Calabria, hanno riguardato questo territorio, fino ad un paio di anni fa parte della provincia milanese e oggi assurto a provincia autonoma di Monza e Brianza.
“Li tengo fuori dalla porta”
Quasi a mettere le mani avanti e ad anticipare ogni possibile replica, Bossi ha quindi affermato che le infiltrazioni criminali sono impossibili nella Lega Nord, perché ad esercitare il più ferreo controllo è lui, in prima persona: “Li tengo fuori dalla porta. È difficile che faccia passare uno che non è da anni nella Lega”. A chi gli ricordava il nome di Angelo Ciocca, consigliere leghista in Regione Lombardia, eletto nell’ultima tornata con ben 18.000 preferenze e il cui nome è finito nelle carte dell’inchiesta coordinata dal pm Ilda Boccassini, il leader leghista ha avuto buon gioco nel rispondere che “non fa l’assessore. È lì bloccato. La magistratura seguirà il suo corso. Se lo butto fuori è condannato anche se innocente”. L’espulsione dal partito di chi non è nemmeno indagato – ha continuato il ministro delle Riforme – equivarrebbe ad una “condanna a morte” e poi, “non è chiaro se abbia commesso un reato, c’è solo una fotografia”. La fotografia cui fa riferimento Bossi è un fermo immagine di una ripresa effettuata dalle forze dell’ordine nel corso dell’inchiesta che, a metà luglio, ha visto la DDA di Milano e quella di Reggio Calabria sferrare un duro colpo alle cosche della ‘ndrangheta che, muovendo dalla Calabria, hanno stabilito in Lombardia un presidio economico e militare di tutto rispetto. In piazza Petrarca a Pavia, con Ciocca – vero enfant prodige della nuova generazione di quadri dirigenti leghisti – vengono ripresi l’avvocato tributarista Pino Neri, finito poi in galera per concorso in associazione mafiosa, il costruttore Antonio Dieni e il candidato nelle liste di “Rinnovare Pavia” Francesco Del Prete. Il contesto è quello delle elezioni amministrative del 2009 ma non solo, sul piatto ci sono anche gli interessi legati ad alcune compravendite di immobili e ad appalti pubblici. Una matassa quindi che risulterà ben più difficile da districare nei prossimi mesi; altro che dare semplici spiegazioni per la fotografia di cui parla Bossi. Le esternazioni del Senatur in tema di mafia non sono finite qui e si sono poi arricchite di una ulteriore rivelazione, giunta in piena nottata, come riportato da alcuni quotidiani. Infatti il leader maximo della Lega ha avuto modo di ricordare anche le difficoltà di esportare il verbo padano in terre lontane: “Al sud è difficile andare. Ho dato la concessione per aprire una sede della Lega in Calabria e due giorni dopo c’era uno della ‘ndrangheta”. Le cronache non ci dicono se qualcuno dei presenti, all’udire questa notizia, sia trasalito o abbia chiesto spiegazioni. Sta di fatto che uno scoop di questa portata è stato liquidato come se niente fosse, in poche ore, nei pastoni politici di tg e giornali dedicati alla situazione politica. Ci sarà almeno un magistrato che vorrà chiedere conto e ragione al ministro di questa uscita, dai contorni assolutamente inquietanti? Anche le reazioni politiche non sono sembrate all’altezza della gravità di quanto denunciato. Nel vuoto di queste ore, si registra solo la dura dichiarazione del capogruppo PD in commissione antimafia, Laura Garavini che ha biasimato l’atteggiamento del ministro: “Non si può chiedere ai semplici cittadini di denunciare chi chiede il racket e poi non dare il buon esempio, facendo nomi e cognomi degli ‘ndranghetisti che si sarebbero presentati alla Lega. A meno che questa non sia una sparata per coprire il maldestro tentativo di minimizzare il ruolo del consigliere regionale lombardo Ciocca e il grave imbarazzo di Bossi per i suoi rapporti con personaggi che rappresentano la ‘ndrangheta al nord”.
Saviano vs Castelli
A luglio di quest’anno, dopo il blitz congiunto dei magistrati milanesi e calabresi, lo scrittore Roberto Saviano si era permesso di far notare il disagio dei dirigenti della Lega di fronte all’avanzata delle cosche al nord: “La Lega ci ha sempre detto – ha dichiarato l’autore di Gomorra a Vanity Fair – che certe cose al nord non esistono, ma l’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia racconta una realtà diversa. Dov’era la Lega quando questo succedeva negli ultimi dieci anni laddove ha governato? E perché adesso non risponde?”. Reazioni veementi e in qualche caso sopra le righe erano venute in quel frangente da diversi dirigenti della Lega Nord. Il più duro di tutti l’ex ministro alla Giustizia Castelli: “Saviano è accecato e reso sordo dal suo inopinato successo e dai soldi che gli sono arrivati in giovane età. Unica sua scusante rispetto alle sciocchezze che dice sulla Lega è che, quando noi combattevamo contro la sciagurata legge del confino obbligatorio che tanti guai ha portato al nord, aveva ancora i calzoni corti. Se nulla sa della storia della Lombardia, vada a rileggersi la storia della battaglia che la Lega fece a Lecco a iniziare dal ’93 contro i clan della ‘ndrangheta. Atti amministrativi precisi, fatti concreti”. A parte il fatto che la legge sul confino produsse i suoi effetti nefasti soltanto qualche decennio prima che Bossi e i suoi fondassero la Lega Nord e quindi c’è perlomeno una incongruenza cronologica che sfugge all’ingegnere Castelli, sarebbe stato interessante capire a quali atti amministrativi precisi, a quali fatti concreti, l’attuale viceministro abbia inteso riferirsi nel ricordare la concretezza della battaglia antimafia condotta dalla Lega Nord. Crediamo, molto verosimilmente, che Castelli, nella polemica con Saviano, abbia inteso soltanto rimarcare quanto già espresso anche nel corso di altre interviste televisive e giornalistiche rilasciate in questi anni. Il succo di queste esternazioni sarebbe la sottolineatura della concretezza leghista nel contrasto alle mafie: vale a dire la confisca dei beni alle cosche della ‘ndrangheta che in quel di Lecco erano comandate da Franco Coco Trovato. “Atti amministrativi precisi, fatti concreti”: cioè i provvedimenti delle amministrazioni comunali di Lecco, dove la Lega aveva un ruolo rilevante e Castelli un posto di primo piano come segretario cittadino prima e capogruppo in Consiglio comunale poi, che avrebbero consentito l’utilizzo a fini istituzionali e sociali dei beni confiscati alle mafie. Anche in questo caso sono necessarie due piccole precisazioni. Intanto i beni non vengono confiscati dai comuni ma il loro intervento è cruciale solo all’esito del procedimento che parte con il sequestro. La partita dei sequestri è merito che va attribuito a magistratura e forze dell’ordine che nel corso delle inchieste ricostruiscono il valore dei patrimoni criminali e consentono la loro individuazione. Concediamo però a Castelli il beneficio del dubbio e le possibili confusioni sul tema, visto che per lo stesso ministro dell’Interno Maroni, collega di partito, sequestrare un bene equivale a confiscarlo e ad arrestare i mafiosi sono i ministri… Secondariamente, Castelli è male informato oppure trascura colpevolmente il fatto che alcuni dei beni confiscati a Coco Trovato e recepiti con atto amministrativo da quella giunta che governava Lecco in quegli anni, in pieno 2010 sono ancora inutilizzabili e non destinati. Per informazioni il viceministro potrebbe chiedere all’attuale amministrazione comunale di Lecco che sconta gli errori del passato, ancora oggi invece rivendicati come meriti dalla Lega Nord.
Clandestini criminali e mafiosi impuniti
In attesa di capire meglio nei prossimi giorni i contorni della pubblica denuncia di Bossi o in attesa di una smentita successiva – non sarebbe una novità per il ministro delle Riforme, che in passato ha più volte utilizzato lo strumento della dichiarazione ad effetto, salvo puntualmente rettificare quanto aveva detto – giova, senza dubbio, ricordare che per la Lega Nord la questione mafia è sempre stato un tasto dolente, nonostante i proclami lanciati da Pontida. La Lega da decenni va soffiando sul vento dell’intolleranza, predicando rigore e pugno duro contro i clandestini e facendo diventare scorrettamente una vera emergenza criminale l’immigrazione, che resta comunque un problema sociale. Quest’azione politica ha assunto anche il ruolo di una vera e propria campagna culturale che ha finito per spostare l’enfasi della repressione giudiziaria e poliziesca sui reati commessi dagli stranieri. Il risultato è che parlare di mafie al nord è ancora oggi un tabù, soprattutto per quella larga fetta di cittadinanza che vota centrodestra e Lega in particolare. Per costoro le mafie sono un problema dei “terroni”, tanto da spingere nel 2009 il sindaco leghista di Ponteranica (BG) a revocare l’intitolazione della biblioteca locale a Peppino Impastato perché “non è uno dei nostri morti”. Per costoro le mafie sono un problema del sud, un fenomeno deviato tanto da arrivare a proporre la costituzione della Sicilia in repubblica autonoma gestita dalla mafia. Era stato il professor Miglio, l’allora ideologo della Lega, a proporre di realizzare un porto franco nel Mediterraneo; eravamo tra il 1992 e il 1994, quando le bombe di Cosa Nostra facevano saltare per aria magistrati e monumenti. Forse anche su questo aspetto sarebbe opportuno un approfondimento in sede giudiziaria. Sull’onda di queste pericolose sottovalutazioni, fenomeni quali la mafia e la ‘ndrangheta sono oggi pienamente inserite – altro che infiltrate! – nel tessuto economico e sociale di quella che i dirigenti e i militanti leghisti si ostinano a chiamare, contro ogni logica e contro la storia, Padania. Ha ragione Saviano quando chiede dove era la Lega mentre le mafie si insinuavano al nord. Suggeriamo ai dirigenti leghisti di studiare le carte e di ripresentarsi più preparati, perché oggi la partita antimafia si sta già giocando al nord da tempo e, facendo così, corrono il rischio di essere superati drammaticamente dai fatti.
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