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Come si uccide un’inchiesta

Di Gabriella Nuzzi (da Il Fatto Quotidiano) il . L'analisi

Ho scelto di percorrere in questi mesi
la strada della riflessione e del silenzio. Non certo per timore, né
per rassegnazione. L’esame introspettivo degli eventi consente di
trovare soluzioni, le migliori possibili, per sé e per gli altri. Di
fronte all’ingiustizia, e più di tutto se gli è inflitta, un
magistrato, che sia davvero tale, non cerca vie di fuga, né comodi
ripari. Perciò, ho continuato a credere nella magistratura e nel suo
operato. La Grande Bugia della guerra tra le procure di Salerno e
Catanzaro, creata ad arte per sottrarre a me e ai colleghi salernitani
le inchieste sugli uffici giudiziari calabresi e privarci delle funzioni
inquirenti, non può non trovare risposte giuridiche e giudiziarie.

Macigni e ostacoli sulla verità
QUANDO il 2 dicembre 2008 furono eseguiti il sequestro probatorio del
fascicolo “Why Not” e le perquisizioni ai magistrati che l’avevano
gestito a colpi di stralci e archiviazioni, si accusarono i Pubblici
ministeri salernitani di aver redatto provvedimenti “abnormi” ed
eversivi, manifestando in tal modo “un’eccezionale mancanza di
equilibrio, un’assoluta spregiudicatezza nell’esercizio delle funzioni
ed un’assenza del senso delle istituzioni e del rispetto dell’Ordine
giudiziario”. Con queste motivazioni, l’8 gennaio 2009, su proposta del
capo dell’Ispettorato Arcibaldo Miller, il ministro della Giustizia Alfano richiese, in via d’urgenza, alla Sezione Disciplinare del Csm, presieduta da Nicola Mancino, l’applicazione di “misure cautelari” disciplinari nei miei confronti, del collega Verasani e del procuratore Apicella. Intervento preannunciato in Parlamento dal sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo ai suoi amici di partito On.li Amedeo Laboccetta & C., che, in difesa dei calabresi, chiedevano la testa del dott. De Magistris
e di noi altri suoi “sodali”. L’intero mondo politico-giudiziario,
spalleggiato dalla grande “libera” stampa, che scatenò una tempesta
mediatica, condannò la nostra scelta investigativa come un atto di
“terrorismo giudiziario”, un attacco “senza precedenti” alle istituzioni
democratiche, ispirato al perseguimento di fini personalistici e
politici, di pericolosità tale da esigere una repressione esemplare e
immediata. La Prima Commissione del Csm presieduta da Ugo Bergamo
avviò il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, poi
sospeso in attesa degli esiti disciplinari. L’Associazione Nazionale
Magistrati accettò di buon grado l’epurazione, nell’illusione di una
futura pace dei sensi. 

La santa inquisizione del Duemila
DOPO appena dieci giorni, con un processo da Santa Inquisizione, ci
strapparono le funzioni inquirenti, allontanandoci dalla nostra Regione.
Una cortina di silenzio e indifferenza s’innalzò intorno al “caso
Salerno”. I magistrati calabresi inquisiti, autori del contro-sequestro
del “Why Not”, instaurarono un procedimento penale a nostro carico e del
dott. De Magistris, trasmettendolo poi alla Procura di Roma che, con
l’Aggiunto Achille Toro, si mise a investigare
liberamente sulle nostre vite private, senza alcun fondamento. Le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione presiedute dal dott. Vincenzo Carbone
chiusero in gran fretta il capitolo disciplinare con una pronuncia
sommaria, storico esempio di come sia possibile, in tema di etica
giudiziaria, affermare tutto e il contrario di tutto. Si aprirono a
nostro carico ulteriori procedimenti penali e disciplinari, branditi
come clave, affinché  ci sentissimo sotto perenne minaccia. Il 19
ottobre 2009, la stessa Sezione Disciplinare, su relazione dell’avv. Michele Saponara, accolse l’azione disciplinare promossa dal Procuratore generale della Cassazione Esposito,
infliggendo a me e al collega Verasani la sanzione della perdita di
anzianità (rispettivamente, sei e quattro mesi) e del trasferimento
d’ufficio di sede e funzione. Non è stato facile resistere a tanta
violenza morale. Una violenza frutto di arbitrio, che ha indecentemente
calpestato ogni regola, senza arretrare neppure di fronte al
riconoscimento giurisdizionale della legalità e necessità dei nostri
comportamenti. La delegittimazione, l’isolamento, l’eliminazione sono
metodi di distruzione mafio-massonici. E noi abbiamo pagato per aver
osato far luce sulla massoneria politico-giudiziaria. Da allora,
pazientemente, ho atteso che a parlare fossero i fatti. E i fatti, nel
tempo, come tasselli di un incomprensibile puzzle, si stanno lentamente
ricomponendo.

Logge, cappucci e grandi vecchi
ALCUNI di coloro che hanno concorso alla nostra epurazione pare avessero
incontri con presunti appartenenti ad un’associazione segreta. Dunque,
di fronte a innegabili evidenze, parlare oggi di consorterie massoniche
interne anche agli apparati giudiziari non è più atto eversivo o
scandaloso. Ampi dibattiti si sono aperti sulla “questione morale” delle
nostre istituzioni. L’Associazione Nazionale Magistrati, rimembrando
proprio la nostra vicenda, ha stigmatizzato la “caduta nel vuoto” delle
sue richieste di rigore, gridate a gran voce. Sicché contro l’ennesima
ipocrisia del “sistema” s’infrange oggi il mio silenzio. Mi rivolgo agli
illustri attivisti del correntismo giudiziario, quelli che mai sono
stati sfiorati da un dubbio o da un ripensamento, trovando superfluo
finanche articolare il pensiero. Esprimano, nella loro purezza, e
possibilmente con cognizione di causa, una posizione precisa su ciò che
di illecito è stato compiuto ai nostri danni, sull’“etica” che l’avrebbe
ispirato, sulle scandalose ingiustizie di un “sistema” che, ancora
oggi, incredibilmente, avalla l’impunità, lasciando che i potenti,
corrotti o collusi, continuino a rimanere ai loro posti o peggio, siano
premiati. Non sono i loro rappresentanti più degni a spartirsi gli
scranni del nostro “autogoverno”, a decidere nomine, promozioni,
trasferimenti, punizioni disciplinari? O forse l’associazionismo sta
dissociandosi da se stesso? Non vi sono oggi “questioni morali” che non
lo fossero anche ieri. E allora occorre ripartire da zero, passando
attraverso un profondo mea culpa. Questa pericolosa caduta libera di
credibilità può arrestarsi soltanto con il ripristino del primato del
Diritto e il ripudio definitivo delle logiche di appartenenza e
protezionismo. Solo proponendosi tali obiettivi e scegliendo figure di
guida autorevoli, per integrità, indipendenza e competenza, l’Ordine
giudiziario può sperare in un autentico rinnovamento morale,
nell’interesse supremo del popolo e della democrazia.

Gabriella Nuzzi (Giudice del Tribunale di Latina)

Articolo tratto da ‘il Fatto Quotidiano’ del 6 agosto 2010

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