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Caliendo, i finiani e la legalità

Di Gaetano Liardo il . Istituzioni

Con 299 voti contrari il Parlamento oggi ha respinto la mozione di sfiducia contro il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo coinvolto nell’inchiesta sulla loggia massonica P3. Caliendo è indagato dalla Procura di Roma per violazione della legge Anselmi sulla  costituzione e partecipazione in attività di società segrete, approvata nel 1982 dopo lo scandalo P2. Al sottosegretario, che in passato fu implicato anche nelle indagini sulla P2, viene contestato di aver fatto pressioni indebite sui componenti della Corte Costituzionale che dovevano decidere sulla legittimità del lodo Alfano sull’immunità alle più alte cariche dello Stato. Vengono contestate, inoltre, pressioni per la nomina di Alfonso “Fofò” Marra come presidente della Corte di Appello di Milano; pressioni per rendere ammissibile la lista del governatore Formigoni “Per la Lombardia” nelle elezioni regionali della scorsa primavera; pressioni per ottenere un’indagine ministeriale presso la Corte di Appello di Milano colpevole di non essere riuscita ad impedire l’esclusione della lista. Fatti gravi quelli contestati a Caliendo, che, tuttavia non è l’unico esponente della maggioranza ad essere coinvolto nell’inchiesta P3. A fare compagnia al sottosegretario ci sono il senatore Marcello Dell’Utri, il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, recentemente dimessosi dall’incarico governativo, ma ancora coordinatore regionale in Campania. 
Il caso Caliendo ha fatto da sfondo al duro scontro politico all’interno del Pdl tra gli schieramenti contrapposti dei finiani e dei berluscones. Dichiarazioni di fuoco, questione morale e frizioni insanabili hanno provocato la fuoriuscita dal Pdl di 33 deputati e 10 senatori finiani confluiti nel nuovo gruppo “Futuro e libertà”. Fuoriusciti dal partito ma non dalla maggioranza, come ha ribadito oggi Benedetto Della Vedova annunciando la scelta dei finiani di astenersi dalla votazione della mozione di sfiducia. Un appoggio al governo ogni qualvolta l’esecutivo presenterà proposte coincidenti con il programma, una valutazione caso per caso ogniqualvolta ad essere presentati saranno provvedimenti “extra”.
Il banco di prova sarebbe dovuto essere quello di oggi. Un voto favorevole dei finiani avrebbe comportato di fatto la perdita della maggioranza da parte dell’esecutivo, la crisi e quindi un governo di transizione oppure le elezioni anticipate. Una posta in gioco troppo alta per il neonato gruppo dei finiani che ha preferito la via dell’astensione lavorando, nel frattempo, ad alleanze politiche con i centristi dell’Udc, dell’Api di Rutelli e dell’Mpa di Lombardo. Un nuovo laboratorio politico? Prove tecniche di un governo di transizione?
Difficile da dirsi. Sicuramente due considerazioni possono essere fatte. La prima è che il governo non ha, ad oggi, una maggioranza solida, e sarà costretto a mediare volta per volta con gli uomini del Presidente della Camera. A meno che non scelga la via delle elezioni anticipate, brandite come arma da Berlusconi ma guardate con sospetto dai leghisti e da una parte dello stesso Pdl. La seconda considerazione è che astenendosi oggi, i finiani non hanno reso concreto l’elemento che li ha spinti fuori dal partito del predellino: la legalità. 
Un principio così forte non può essere sacrificato sull’altare della convenienza politica. Ci saranno altre battaglie e altre sfide, prese di posizione necessarie, come già nel passato con l’opposizione alla legge bavaglio. Occorre tuttavia anche concretezza per far nascere una destra moderna, democratica e attenta ai temi della legalità. Una destra diversa da quella berlusconiana, capace di portare avanti fino in fondo le proprie scelte. Evitando la scorciatoia dell’astensione.

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