Pietro Pizzo assolto ma il fatto è stato commesso
Qualcuno dovrà presto rivedere per onestà di comportamento i giudizi critici, gli attacchi alla magistratura, smetterla di gridare al complotto perchè quasi che Pietro Pizzo fu arrestato nel 2003 alla vigilia delle Elezioni Europee proprio per impedirgli di candidarsi, non perché sospettato di un grave reato, una combutta con la mafia nel corso delle Regionali del 2001. Pizzo finì in manette mentre stava tornando alla politica attiva, lui che all’epoca era solo il presidente del Consiglio comunale di Marsala. C’è l’assoluzione ma il fatto non è negato. In ventiquattro pagine, delle settantuno che compongono l’intera sentenza, è raccolta la motivazione per la quale i giudici della Corte di Appello di Palermo hanno revocato, annullandola, la condanna di primo grado (Tribunale di Marsala) a 4 anni, tre indultati, per voto di scambio politico mafioso, articolo 416 ter. Il fatto contestato all’ex parlamentare marsalese del Garofano non è negato, ma in modo clamoroso secondo i giudici di Appello non rientra nella fattispecie prevista dal reato. Come se chiedere voti ai mafiosi, andare al supermarket della compravendita elettorale gestita da Cosa Nostra, sia cosa possibile. E’ questa una sentenza che farà certamente discutere, di fatto la Procura generale di Palermo, che aveva chiesto per Pietro Pizzo una condanna in secondo grado a 5 anni, ha già presentato ricorso in Cassazione. Per la Procura generale i giudici di Appello (presidente La Barbera, a latere Messana) “hanno preso una clamorosa svista”, arrivando a giudicare Pizzo per un reato diverso da quello contestato, come se fosse imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, reato in nessun grado del giudizio mai ipotizzato.
Nel 2003 Pietro Pizzo fu arrestato su ordine della Dda di Palermo da parte della Polizia all’interno di uno dei filoni dell’operazione “Peronospera” quella che ha svelato intrecci tra mafia, impresa, politica ed estorsioni nel marsalese. Un sospetto di contatti tra Pizzo e ambienti mafiosi c’era stato già in un precedente filone d’inchiesta, aveva ricevuto un avviso di garanzia, ma adesso di nuovo c’erano state le confessioni dell’ex vigili urbano Mariano Concetto che raccontò, tra l’altro, che Pizzo si rivolse a lui per ottenere mille voti in occasione della candidatura alle elezioni regionali del 2001 di suo figlio Francesco, Pizzo jr era candidato nel Nuovo Psi. Centro milioni di vecchie lire passate tra le mani di Pizzo a quelle di Concetto. Francesco Pizzo non fu eletto lo stesso, il padre finì nei guai. In primo grado per il 416 ter (voto di scambio elettorale politico mafioso) ebbe inflitti 4 anni di cui tre indultati. In Appello sentenza cancellata, ma fatto confermato. Quando fu pronunciata l’assoluzione qualcuno gridò allo “scandalo”, di quell’arresto e della condanna di primo grado, patite da Pietro Pizzo, ma i giudici di appello non arrivano oggi ad una assoluzione che lascia libero Pizzo da rilievi di responsabilità, morale e politica. I giudici infatti sostengono che lo scambio di denaro con la mafia, l’accordo elettorale c’è stato, Pizzo andò a bussare alla porta dei mafiosi, contrattò il pacchetto di voti, ma per i giudici manca l’elemento, non previsto dal 416 ter, che porti alla colpevolezza ossia l’avere agevolato un disegno criminoso.
Lesta la Procura generale ha fatto notare che quest’ultima fattispecie rientra nel concorso esterno (un soggetto non ritualmente affiliato che si mette a disposizione di Cosa Nostra garantendone un vantaggio) reato mai contestato a Pizzo che invece ha violato per la Procura Generale il 416 ter ha cercato e ottenuto un accordo con la mafia per “comprare” voti. La Procura generale contesta le motivazioni dei giudici di secondo grado secondo i quali è vero che Pizzo contattò un soggetto mafioso per ottenere un pacchetto di voti, mille voti, ma, a dire dei giudici di Appello, cosa che appare altrettanto grave quando una condanna e dovrebbe indurre molti detrattori dell’azione giudiziaria ad essere più cauti, che tutto questo è avvenuto nell’ambito di una sfera “personalistica”: “….ciò è avvenuto nel segno di ricorrenti interessi personalistici di basso profilo…mere aspettative piuttosto che una efficiente ingerenza nell’attività politico istituzionale”.
Era una campagna elettorale difficile quella di allora, del 2001, per questo Pizzo si dava da fare a favore del figlio Francesco, ma gli stessi mafiosi erano scettici: ma Pietro Pizzo, io dico che non ce la fa, va; ma che cazzo te ne frega, quello vuole uscire 50 milioni, 100 milioni; si acchiappa 40, 50 milioni una persona tanto poi se ti devono fare i favori, lo stesso te li fanno”. Per i giudici di Appello, Pietro Pizzo i contatti con i mafiosi li ha avuti, pure ricorrenti, nello specifico per aiutare il figlio, Francesco jr, ha cercato una scorciatoia per conquistare voti nelle regionali del 2001 , ma per rapporti personali, non per altro.
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