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Messico, l’informazione rapita

Di Stefano Fantino il . Internazionale

Non fossero sufficienti le morti che
ogni giorno la cronaca ci racconta, il Messico sembra rincorrere le
prime pagine, mostrandosi capace di spingere sempre più in là il
limite di quanto tollerabile in un paese democratico. Nella intricata
tela che dipinge l’attuale federazione messicana, tra gli scontri a
fuoco tra le più disparate fazioni, la corruzione, i doppi giochi e
la conta, tragica, dei morti, non poteva che avere, nostro malgrado,
uno spazio degno di nota il terribile stato della libertà di stampa.
Un concetto, in Messico, non particolarmente diffuso e, sia ben
chiaro, non certo per la mancanza di validi giornalisti. Anzi, ce ne
sono stati e ce ne sono moltissimi, proprio per il loro valore sono
spesso perseguitati, minacciati e soprattutto uccisi. Nei primi mesi
del 2010 sono già state nove le vite di cronisti messicani spazzate
via dalla violenza dei narcos.

Non c’è dunque da stupirsi
nell’apprendere l’ennesima mossa che i narcotrafficanti hanno compiuto
ai danni della libera informazione. Quattro cronisti sono stati
rapiti, tre di loro lavorano per dei media televisivo, uno è un
giornalista di carta stampata. Sono stati rapiti dopo che avevano
“coperto” la protesta di alcuni detenuti in un carcere nello
stato di Durango. A condurre i sequestri con molta probabilità i
narcos, come ha sottolineato subito anche il governatore dello stato
Ismael Hernandez. Alla vicenda si legherebbe infatti quella della
prigione di Gomez Palacio, una cittadina nel sud dello stato di
Durango. Nei giorni scorsi era uscita la notizia seconda la quale i
narcos che erano in quel carcere venivano liberati temporaneamente e
riforniti di armi dalle stesse guardie carcerarie affinché, una
volta fuori, potessero regolare i conti con le bande rivali. In
questo modo alcuni detenuti hanno potuto eseguire alcuni giorni fa la
spietata mattanza costata la vita a diciassette persone durante una festa a
Torreon, nello stato di Coahuila. I giornalisti erano lì a seguire
il caso, per una protesta contro la direttrice accusata, Margarita
Rojas. Finito il lavoro sono stati avvicinati da alcune auto e sono
scomparsi nel nulla.

Tra le richieste di riscatto, fatte
pervenire, secondo il giornale Milenio, quella di mostrare un video
dove alcuni autorità di polizia locale dichiarano di essere parte
dei Los Zetas, il cartello di ex paramilitari ora resosi autonomo, e
molto pericoloso. Stando ai dati di Reporters Sans Frontieres il
Messico è uno degli stati più pericolosi per fare il giornalista.
Basta fare esercizio di memoria e solo negli ultimi trenta giorni i
casi di giornalisti uccisi o spariti balzano tosto alla mente. Il 30
giugno scorso nello stato di Guerrero, sono stati uccisi da colpi di
pistola Juan Francisco Rodriguez Rios e la compagna Maria Elvira
Hernandez Galena, sorpresi da alcuni sicari alle spalle, facendo
salire a sessantaquattro il numero dei giornalisti morti, partendo
questa terribile conta dal 2000.

E se per le strade del Messico si
sperimentano nuovi attacchi in stile libanese, con autobombe contro
la polizia, già da tempo gli assalti terroristici ai media hanno
mostrato la loro ferocia. Fu senza vittime ma di grande impatto
l’assalto a un televisione di Monterrey da parte dei narcos. Il
motivo era quella di minacciare direttamente i giornalisti con lo
scopo di limitare la copertura mediatica delle storie riguardanti i
narcos. Motivazione ben spiegata in una nota lasciata dal commando,
che invitava a non parlare solamente dei narcotrafficanti ma anche a
segnalare gli interessi di ufficiali federali nello smercio di droga.
Segno di un limite oltrepassato da tempo e a cui si deve mettere
freno magari con qualche legge che fornisca un quadro legale e una
tutela fisica maggiore alla “libertà di espressione”, come già
qualche anno fa si auguravano i sindacati e le associazioni di
giornalisti locali. Quasi un’utopia nel Messico attuale.

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