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La Lega e la ‘ndrangheta

Di Norma Ferrara il . L'analisi

La volta scorsa, nel dicembre
del 2009, l’attuale vice ministro alle infrastrutture del Governo
Berlusconi, Roberto Castelli, gli aveva risposto cosi: “Ma va a ciapà
i ratt”. Oggi continua e afferma: “ gli antimafia a pagamento sono
sempre meno credibili”. Le accuse sono indirizzate sempre allo stesso
destinatario, Roberto Saviano, reo  di porre, nell’acceso dibattito
Nord-Sud, l’attenzione sulla presenza delle mafie nell’operoso e
sano territorio del Centro-nord. Questa volta lo ha fatto in un’intervista
rilasciata a  Vanity Fair nella quale, a seguito delle notizie
emerse dall’inchiesta Crimine a carico di alcuni amministratori
locali del Carroccio, ha chiamato in causa le responsabilità della
Lega nord che da dieci anni governa quei territori. «Dov’era la
Lega mentre la ‘ndrangheta si infiltrava»?

Tanto è bastato perché la Lega, nonostante le risultanze investigative,
attaccasse lo scrittore campano per queste affermazioni. Il braccio
di ferro fra  Castelli e Saviano si ripropone con gli stessi toni
duri di quando, lo ricordiamo, lo scrittore aveva affermato: «Milano
è la più grande città del sud d’Italia. I meridionali nel corso
degli anni hanno contribuito a far crescere la produttività». Diverso
il contesto nel quale nacquero quelle affermazioni ma identico il botta
e risposta. Alle osservazioni di oggi in cui Saviano fa notare che la
presenza delle mafie è stata segnalata anche nei comuni governati dalla
Lega, Castelli risponde: «Se non sa nulla della storia della Lombardia
vada a rileggersela […] noi abbiamo fatto atti amministrativi precisi
e fatti concreti. Non ci siamo limitati a scrivere quattro cose e a
partecipare a quattro conferenze».

Eppure la cronaca recente non
lascia molto spazio alle valutazioni. Dopo anni in cui si susseguono
operazioni di carabinieri e forze dell’ordine, in cui l’allarme
lanciato anche nella relazione annuale dei Servizi di sicurezza, pone
la Lombardia in cima alle regioni in cui maggiore è il rischio di radicamento
delle mafie, in cui si susseguono strani omicidi e le operazioni antiracket
hanno numeri paragonabili a quelle di molte città del sud, all’alba
del 13 luglio scorso la più grande operazione antimafia delle forze
dell’ordine coordinata dai Pm delle procure di Reggio Calabria e Milano
ha disposto la custodia cautelare per 300 persone, a vario titolo, coinvolte
nell’operazione “Crimine” .

Gli addetti ai lavori parlano
di questa operazione come “della punta dell’iceberg” del sistema
mafioso della ‘ndrangheta in Lombardia. Nell’operoso nord, nella
regione feudo del Carroccio, i magistrati hanno contestato il reato
di associazione a delinquere di stampo mafioso, fra gli altri, al boss
Pasquale Zappia, succeduto a Giuseppe Neri, nel controllo del territorio
e degli affari  e  Carlo Antonio Chiriaco, direttore della
ASL di Pavia; dell’assessore comunale di Pavia Pietro Trivi, accusato
di corruzione elettorale; di Antonio Oliviero, ex assessore della Provincia
di Milano nella giunta di centrosinistra guidata da Filippo Penati e 
degli imprenditori Francesco Bertucca e Ivano Perego, responsabile della
Perego Strade, ricollegabile direttamente al clan Strangio. I soggetti
sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della ‘ndrangheta attiva
da anni sul territorio di Milano e nelle province limitrofe.

Molti degli arrestati sono
anche affiliati a logge massoniche.  Nelle 3000 pagine dell’inchiesta
si racconta dei rapporti diretti  che il consigliere regionale Angelo
Ciocca, leghista da sempre,  ebbe con l’avvocato Pino Neri,
massone dichiarato e  finito in
carcere in questo maxi blitz. Nella primavera del 2009 i due sono stati
filmati dai carabinieri mentre si incontravano per discutere dello scambio
di voti da effettuare spostandoli su un candidato gradito alle cosche.
Un modello del tutto simile alle dinamiche con cui da decenni la mafia
si interfaccia e governa nel centro sud. Il voto di scambio, il cavallo
“vincente”, il favore da restituire. Tre semplici passaggi per mettere
sotto scacco un intero sistema che di democratico continua ad avere
sempre meno. L’inchiesta “Crimine” è fra le prime a raccontare
come questo “modello” si ripeta sempre uguale a se stesso anche
nei comuni governati dalla Lega, partito che ha fatto del  suo
impegno in prima linea contro le mafie “terrone”, il fiore all’occhiello
della lotta contro quella zavorra sociale ed economica rappresentata
dal mezzogiorno.

Nelle carte della richiesta
di arresto disposta dai magistrati milanesi  si descrivono i rapporti
tra il padrino e Ciocca (ad oggi non indagato) per far confluire i voti
leghisti su Francesco Rocco Del Prete, candidato della ‘ndrangheta
(poi non eletto) alle comunali 2009 di Pavia. I rapporti tra il consigliere
e il padrino della ‘ndrangheta iniziano nel giugno 2009, quando “Neri
– scrivono i magistrati – ha assoluta necessità di far eleggere
alle consultazioni elettorali di Pavia un proprio uomo, Rocco Del Prete,
e a tal fine si rivolge a Ciocca”. La Lega preferisce un altro candidato,
ma poi un gioco di “favori e promesse” rimette tutto in campo. Le
infiltrazioni arrivano così. Nell’intervista rilasciata a Vanity
Flair
, lo scrittore Roberto Saviano, a partire anche da questi ultimissimi
fatti di cronaca, a porre una questione politica. Dov’era la Lega
mentre in questi ultimi dieci anni in cui ha governato in quelle aree
tutto questo accadeva? «Il Sud è la ferita aperta di questo fenomeno,
attraverso cui tutto si fa passare. Il tessuto sano è sano perché
lì le mafie investono , ma non sparano». Tanto basta per aprire la
strada agli ennesimi attacchi indirizzati nei confronti dello scrittore
campano. Attacchi subito rispediti al mittente proprio nella stessa
Casal di Principe dove da stamani, su quelle stesse mura su cui per
anni campeggiavano scritte a favore del boss di turno, compaiono invece
frasi in sostegno dell’autore: «Dieci, cento, mille, diecimila
Roberto Saviano per i casalesi del clan». Un inno d’apprezzamento
per lo scrittore e per il suo impegno contro la camorra, vergato sui
muri dello stadio di Casal di Principe.

Dal canto loro i ministri leghisti,
rispondendo a quelle che giudicano come “accuse” e spesso sono solo
la cronaca dei fatti, raccontano delle battaglie fatte proprio contro
il confino obbligatorio dei boss nelle città del nord, dell’impegno
antimafia e dei successi ottenuti con la guida di Maroni al Ministero
dell’Interno. Rimane comunque acceso il dibattito ma si dirama troppo
spesso in dure vicoli ciechi:  c’è chi nega la presenza delle
mafie nelle terre della Lega e chi la riconosce ma fa risalire e circoscrive
il fenomeno alla presenza dei “meridionali” al nord. Il problema
è come sempre più complesso e le semplificazioni non aiutano. A tal
proposito solo qualche mese fa il giornalista Antonello Mangano sul
portale “Terrelibere” in un articolo dal suggestivo titolo
“Mentre vietate i kebab la ‘ndrangheta si sta mangiando la Lombardia”

scriveva:« le mafie che in Padania ormai sono entrate negli appalti
e nelle forniture pubbliche e che hanno preso residenza nei comuni attorno
a Milano, Varese, Brescia. Che spesso impongono il pizzo ai negozianti,
senza che siano nate associazioni antiracket. Anzi, si risponde che
la mafia non esiste al Nord. Il problema mafioso non è entrato nella
campagna elettorale delle elezioni regionali. E’ chiaro che al Sud
il problema è gigantesco, ma non bisogna sottovalutare le candidature
e la pulizia delle liste in nessuna parte d’Italia. A Legnano, roccaforte
della Lega Nord, nel 2008 è stato ucciso con un colpo alla nuca e abbandonato
nelle campagne Cataldo Aloiso, genero di Giuseppe Farao della cosca
Farao-Marincola di Cirò Marina, in Calabria. Il 25 aprile del 2007
viene ucciso a Tagliuno (Bergamo) Leone Signorelli, raffinatore di cocaina
colombiana che rivendeva alla ‘ndrangheta. Cinque mesi dopo i killer
aspettano davanti casa Giuseppe Realini, artigiano del legno bergamasco.
Si ammazzano tra loro?».

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