Grida contro la mafia che si spengono nel silenzio
Vorrei, tanto vorrei, ma non
ci riesco. Cerco e mi sforzo di trovare esempi positivi nella lotta
alla mafia fuori dai palazzi deputati alla lotta a Cosa Nostra, quelli
delle Procura, degli uffici investigativi, dalle aule di giustizia,
ma ne trovo pochi. La società che lotta la mafia, dov’è? Ovviamente
parlo del territorio dove vivo, dove c’erano e sono tornati quei lupi
che circondarono Rostagno e lo azzannarono a morte, e prima ancora resero
inermi procure, tribunali, azzannarono e uccisero pm, giudici, gente
senza colpa, mentre in giro si diceva che la mafia non esisteva. Oggi
vedo la gente, i giovani, c’è Libera che mai è inoperosa, e se non
ci fosse Libera con i suoi attivisti l’antimafia nemmeno esisterebbe,
ma c’è il rischio, che non riguarda certo i giovani, le donne e gli
uomini di Libera, che tutto avvenga quasi recitato, non per colpa dei
protagonisti, nessuno di loro recita, ma del pubblico a cui piace vedere
il tutto come una rappresentazione teatrale, si partecipa, pochi o in
molti, si applaude, poi si va via, spesso l’andazzo quotidiano non
cambia, l’indignazione non crescete. Mi pongo delle domande.
Mi chiedo
perché per esempio Partanna non riesca ad uscire dall’equivoco, celebrando
a dovere il ricordo di Rita Atria, sua concittadina. Basta una messa,
battersi il petto come si fa ogni anno in una “deserta” chiesa madre
a togliersi quello che rimane l’assunzione di un obbligo con un rito
religioso? No che non basta ed è pure avvilente, a pensare che nello
stesso centro del Belice ogni anno ci si dà appuntamento per ricordare
un giudice di grande valore, vittima lui, come Rita, della violenza
mafiosa, lasciato solo, come Rita, a combattere i poteri forti, lui
indossava una toga ed era il giudice istruttore Rocco Chinnici, una
fondazione che porta il suo nome puntualmente viene qui a distribuire
riconoscimenti. Rita indossava gli abiti semplici di una ragazzina di
17 anni, coltivava gli ideali di una ragazzina di quella età, ma ha
dovuto metterli da parte perché lei a 17 anni ha mostrato più coscienza
di un adulto di quegli anni, e di un adulto di oggi, sentendo il dovere
della testimonianza. Dovere con la D maiuscola come il Dovere che sentiva
suo Rocco Chinnici.
E allora mi chiedo perché Rocco Chinnici si, e
Rita Atria. E’ una considerazione che pongo all’attento magistrato
e assessore regionale Caterina Chinnici, figlia del giudice istruttore.
E’ una domanda che pongo al sindaco di Partanna, Giovanni Cuttone,
lo stesso sindaco che mi spiace andò a dire di non essere andato a
trovare Piera Aiello, cognata di Rita, testimone di giustizia come lei,
quando venne a Partanna a protestare platealmente contro la grave disattenzione
commessa nello Stato nei suoi confronti. Le assurdità del nostro Paese.
Chi testimonia, chi vede e racconta certi fatti è costretto a stare
nascosto, i responsabili scontate le pene tornano liberi, in giro, magari
più minacciosi di prima, senza che nessuno tolga loro il saluto. Su
questi temi Piera Aiello voleva provocare una reazione, che non c’è
stata nella Partanna che invece celebra Rocco Chinnici, dico io, con
qualche nota di contraddizione. A Partanna su Rita Atria resiste
il silenzio, come se lei non sia mai stata figlia di questo paese. Per
fortuna Rita è figlia di altre città che a loro modo cercando di ricordarla,
colmando il vuoto che si è fatto attorno a lei.
Rita non può essere
ricordata solo nel giorno del suo suicidio ma andrebbe ricordata ogni
giorno per tutta la sua storia. Rita a 17 anni ha guidato le forze dell’ordine
contro la mafia del Belice, gli arresti e le condanne però sono state
insufficienti a fermare la barbarie e la crescita di Cosa Nostra. Non
ci sono stati altri che come Rita e Piera Aiello sono andati a testimoniare,
e la mafia nel Belice oggi non spara più ma fa impresa, gestisce centri
commerciali e oleifici, fa da circuito ai pizzini di Matteo Messina
Denaro e protegge il boss nella sua latitanza. Ci sono dunque tanti
motivi perché si ricordi Rita, per far riscoprire il dovere della testimonianza,
e perché il latitante solo così può essere catturato. E allora no
che non basta una messa.
Le grida non sono solo quelle
che chi ha lasciato Rita. Ce ne sono altre. Trapani non è proprio
povera di esempi positivi. Uno è maturato di recente ma è rimasto
non colto. In una provincia dove si parla (male) più dell’antimafia
che della mafia, è rimasta sepolta da un silenzio di tomba la lettera
di tre ragazzi, figli del riconosciuto uomo d’onore della mafia mazarese,
l’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune di Mazara, Pino Sucameli.
Uno che faceva il colletto bianco la mattina e la sera andava a sedere
a tavola con Totò Riina quando questi era latitante a Mazara. Oppure
si prendeva cura di altri boss ricercati cui si preoccupava di trovare
sicuri rifugi. I tre ragazzi non hanno recitato per niente, hanno dichiarato
lo schifo per la mafia e respirato il fresco profumo della libertà
ricordando Paolo Borsellino e rinnegando loro padre, chiedendo scusa
per le sue malefatte e lo scempio da lui creato. Hanno scelto altre
vie, hanno girato le spalle alla via di Cosa Nostra, Francesco, Dario
ed Alessandro, rispetto ad altri che invece hanno accettato eredità
di questo genere, oppure hanno scelto il silenzio, o ancora altri che
hanno rinnegato il padre mafioso quando questi ha deciso di collaborare
con la giustizia. Cosa hanno ottenuto i tre ragazzi. Nulla. Per fortuna
loro non cercavano niente e il contenuto della loro lettera è chiaro,
la strada intrapresa non dipendeva dal consenso di chicchessia, ma è
stata scelta presa e da loro condotta fino in fondo.
Ma mi chiedo la
società che dice di volere combattere la mafia, la politica che spesso
contesta all’antimafia azioni di strumentalizzazioni, i politici che
dicono che la mafia non c’è, dinanzi ad un esempio così concreto
dove sono e dove sono stati? Distrazione o comodo silenzio? E i grandi
giornalisti, le firme eccellenti di carta stampata e tv dove sono? E’
possibile che Alessandro, Dario e Francesco non facciano notizia? Nelle
redazioni locali è questo che è successo e per la verità la cosa
non ci stupisce. Ma il resto dell’informazione è stata troppo impegnata
a parlare di bavaglio tanto da mettere il bavaglio alla lettera di questi
tre ragazzi? Trovato un esempio positivo cerco di afferrarlo e mi sfugge
tra le mani, scivola via.
E’ vero forse allora che
questa mia terra la mafia la vuole, non se la vuole togliere di dosso,
le piace, ci convive. Perché non è la cattura di un latitante che
infligge colpi mortali all’organizzazione mafiosa, è colpendo il
sistema che Cosa Nostra si indebolisce. E allora succede che in questa
terra, che nega la mafia, sostenendone la sua quasi sconfitta, manca
solo da catturare, ci dicono, Matteo Messina Denaro, si celebra l’antimafia
nel pieno delle contraddizioni. Pensate, a Campobello di Mazara, Comune
per il quale la prefettura di Trapani ha chiesto al ministero dell’Interno
lo scioglimento per mafia, ogni anno si svolge un premio dedicato a
Pio La Torre con una giuria lottizzata.
E’ antimafia questa?
In Consiglio provinciale, dove ogni operazione antimafia raccoglie commenti
e soddisfazioni da ogni banco, hanno eletto presidente della commissione
lavori pubblici un consigliere sotto processo per dei reati commessi
favorendo la mafia, indagato in un’altra indagine antimafia, si chiama
Pietro Pellerito, lui in aula agli attacchi del Pd si è difeso dicendo
che tutto finirà in una bolla di sapone che ci saranno circostanze
che verranno fuori di gran clamore e a suo favore, ma intanto è un
imputato, ma la cosa non deve pesare. Per favore non ne parliamo, serve
solo silenzio. Tanto silenzio. Come quello che fu chiesto al prefetto
Fulvio Sodano che doveva mantenere il silenzio non dire di essersi trovato
l’emissario dei mafiosi fin dentro il suo studio a chiedergli di vendere
un’azienda confiscata alla mafia. Silenzio allora, che la recita continui.
Almeno per chi ci vuol partecipare.
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