“Taci infame”
“Raccontare
le storie di mafia non è un supporto promozionale alle mafia è semmai
un supporto alla conoscenza dei cittadini, si cerca così di renderli
più capaci di scegliere anche i propri rappresentanti politici”.
Così Walter Molino, giornalista e scrittore, autore del libro, “Taci
infame” commenta uno dei passaggi del suo libro dedicato alle
storie di giornalisti della frontiera del Sud. Un libro, quello
scritto da Molino (edito da Il Saggiatore), nel quale il
giornalista racconta storie di ordinaria pressione criminale e di solitudini
vissute dai colleghi che vivono e lavoro in territori che diventano
per loro, sempre più spesso, luoghi ostili. Luoghi in cui esercitare
il proprio mestiere, raccontare quello che si vede, diventa una battaglia
quotidiana. Di questo e molto altro abbiamo discusso con l’autore,
giornalista e animatore del blog LiberaMente.
Da quale
l’idea o esigenza nasce questo tuo libro?
L’esigenza è nata dalla
cronaca, negli ultimi anni sono state innumerevoli le minacce e intimidazioni
ai cronisti soprattutto nel mezzogiorno d’Italia. La curiosità era
quella di capire cosa accadeva dopo il momento delle minacce. Solitamente
vi era un coro di solidarietà iniziale dopo qualche giorno, però,
tutto cadeva nel silenzio più assordante. Mi interessava capire cosa
accadeva nelle vite di queste persone quando vivendo in posti di provincia,
sapendo che c’è qualcuno che ti tiene d’occhio; cosa vuol continuare
a fare il proprio lavoro pur sapendo di essere entrato nel mirino di
qualcuno. Altro elemento che mi ha spinto a raccontare queste storie
è sicuramente il mio essere siciliano. La Sicilia ha pagato il più
alto tributo in termini di cronisti uccisi: otto giornalisti ammazzati
perché voci scomode. È stato un modo per ripercorrere le mie origini
e in qualche modo andare a ritrovare le motivazioni che mi hanno fatto
scegliere questo stesso mestiere
Da un punto di vista geografico,
è possibile oggi identificare la zona d’Italia dove raccontare
è diventato più difficile?
Sicuramente la Calabria,
quello è il territorio oggi che ha una criminalità organizzata diventata
oggi la più potente mafia del territorio nazionale e non solo. Ha una
organizzazione interna verticistica sempre legata alle ‘ndrine alle
cosche locali di conseguenza diventa un territorio difficile da raccontare
per sua natura. Dal punto di vista dell’informazione c’è un indice
di lettura molto basso ma al tempo stesso, soprattutto in questi anni,
prolifera un panorama di nuovi giornalisti. Un circuito tanto alternativo
quanto debole poiché ha delle spalle molto piccole rispetto alle cose
che ci racconta.
Secondo te internet e i
nuovi media diminuiscono, in qualche modo, la solitudine di
cui questi cronisti spesso raccontano?
Di sicuro rispetto al passato,
oggi, se sei un cronista minacciato hai degli strumenti in più per
far conoscere le tue difficoltà e quindi di sentirti meno solo. Però
spesso è una “solidarietà” che rimane pur sempre ad un livello
virtuale. Tra le interviste, di cui racconto nel libro, la maggior parte
di loro hanno ricevuto da tutte le parti di d’Italia solidarietà
con ogni mezzo ma mi dicono anche che nel concreto ciò non gli cambia
molto la loro situazione personale e professionale, soli erano e soli
rimangono.
Quale di tutte le storie
ti ha colpito maggiormente?
Tra le tante sicuramente quella
di Carlo Ruta, storico di 56 anni, di Ragusa. Vanta il triste record
di essere stato il primo blogger ad essere condannato da un tribunale
per il reato di stampa clandestina. Lui lavora soprattutto su internet
e poi perché è un personaggio esemplare: faceva il dipendente pubblico
si è licenziato per poter seguire la sua passione per la storia e la
ricerca, si è sempre contraddistinto per un enorme impegno civile e
per il suo giornalismo di inchiesta; è entrato nel mirino non solo
della mafia del ragusano ma soprattutto dalle lobby del ragusano. La
cosa più insolita è che Carlo non è stato zittito tanto dalle minacce
violente ma bensì dalle citazioni civili: ha ricevuto richieste di
risarcimento danni esorbitanti. Oggi lui e la sua famiglia vivono in
una situazione economica difficile di fatto lui è stato messo in condizione
di tacere. Oggi è costretto a scrivere di altri argomenti per poter
così evitare le richieste enormi di risarcimento danni.
L’altra storia e quella tutta calabrese di Giuseppe Baviglio che ha
iniziato lavorando per Calabria Ora. Quando gli ho chiesto se
aveva ricevuto solidarietà per le minacce, lui mi ha detto di si ma
mi faceva notare che la solidarietà formale contava poco. Il fatto
che più gli premeva era quella di non avere nessun tipo di tutela,
meno che mai quella economica in quanto il suo lavoro veniva pagato
quattro centesimi a riga. La direzione del suo giornale, come spesso
tutte le realtà similari, si preoccupava solo di avere il pezzo per
il giornale poi il resto dei problemi ed esigenze erano solo e solamente
a carico dei cronisti mandati praticamente allo sbaraglio.
“A scanso di
equivoci questo libro non è un supporto
promozionale alle mafie” perché
hai inserito questa frase nel tuo libro tra i ringraziamenti?
Noi abbiamo un Presidente del
Consiglio che negli ultimi anni non ha perso occasione di andare contro
tutti i poteri civili e istituzionali del nostro paese. In una di queste
dichiarazioni, parlano della produzione editoriale che tratta di mafia,
l’ha definita come una forma di promozione della mafia stessa. Prendendo
spunto da quella dichiarazioni ho voluto fare una provocazione ma anche
una presa di posizione forte. Raccontare le storie di mafia non è un
supporto promozionale alle mafia è semmai un supporto alla conoscenza
per formare dei cittadini più informati; di conseguenza renderli più
capaci di scegliere anche i suoi rappresentanti politici.
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