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Verità condivise sulle stragi

Di Daniela Spinella il . Progetti e iniziative

L’attesa di simpatizzanti
e curiosi a Villa Gordiani a Roma – che ospita i dieci giorni di festa
di Sinistra Ecologia e Libertà –  è per il governatore della
Puglia Nichi Vendola. Ma il leader del partito non sarà solo ad animare
il palco su cui si parlerà della lotta alla mafia oggi a 18 anni dalle
stragi: con lui anche il Procuratore Capo Giancarlo Caselli  e
il deputato di Rifondazione Francesco Forgione. Messi in conto gli imprevisti
tecnici – che moltiplicano i fastidi già notevoli dovuti al caldo
– gli ospiti battono sul tempo gli organizzatori della festa arrivando
puntualissimi sull’orario previsto dal programma. Nell’attesa di
risistemare gli spazi, allora, giusto il tempo di rispondere a qualche
domanda dei giornalisti e a qualche obiettivo dei fotografi.

Si parla di Andreotti,
di decreto di legge sulle intercettazioni, di “verità condivise”
sulle stragi, dello stato attuale della Magistratura. E Caselli è probabilmente,
su quel palco, l’uomo più legato a tutto questo. Come già ha fatto
più volte, anche stasera ricorda che non è possibile chiudere o rovesciare
la verità sul caso Andreotti, “condannato in via irrevocabile dalla
Corte d’Appello di Palermo e responsabile con Cosa Nostra (con il
boss Stefano Bontade in particolare) dell’omicidio di Piersanti Mattarella”.
E sostiene con convinzione che non si può fare come certi politici
o certi giornalisti che tentano di capovolgere questa verità, peraltro
già dimostrata. A coordinare gli ospiti, Giovanni Biancone, giornalista
del Corriere della Sera e “uno dei pochi giornalisti non schierati
che ha detto la verità sul caso Andreotti”, dice Caselli. Il Procuratore
si appassiona come sempre quando parla di ciò che lui stesso ha combattuto
per molti anni, con e dopo Falcone e Borsellino, perché non è possibile,
sostiene, negare questa verità già emersa negli anni ’80: farlo
adesso, dice, è come legittimare il passato, il presente e il futuro.
Giancarlo Caselli, Nichi Vendola e Francesco Forgione credono nell’antimafia
e nelle sue potenzialità, ma la sua forza repressiva non può funzionare
se non funziona la giustizia. E lui, Caselli, Procuratore Capo della
Repubblica e rappresentante italiano a Bruxelles nella commissione Eurojust
contro la criminalità e già Procuratore Antimafia al tempo delle stragi,
conosce bene il sistema della giustizia italiano e spiega infatti il
perché questo non funzioni. Innanzitutto, perché è lo Stato ha ridotto
del 30% il personale della cancelleria compromettendo così la velocità
dei processi stessi.

Conseguenza: la giustizia è divenuta un percorso
ad ostacoli per i troppi cavilli e i troppi gradi di giudizio che, a
quanto pare, non si intende ridurre, perché l’attuale governo sta
tentando di riformare più i giudici che la giustizia. Ma questo non
ci deve stupire, ironizza, perché quel poco di giustizia che abbiamo
si scontra spesso con gli interessi di politici o uomini di potere,
ostacolandoli per il proprio tornaconto: da qui, il depotenziamento
della giustiziai. Adesso, qualcosa di scandaloso è venuto alla luce,
dice, ma i casi riaperti sono difficili, “santuari invalicabili”.
Lui che è un magistrato e che ha sempre creduto nel suo lavoro e in
quello dei suoi colleghi, afferma con convinzione che la magistratura
non è un organismo corporativo e acritico, ma un mezzo per giungere
alla verità dei fatti, verità che probabilmente, dice, questa politica
non sarà in grado di sorreggere. Il Procuratore Capo ha parlato molto
anche stavolta ma non ha mai fatto cadere l’attenzione del pubblico:
prova ne sono stati i continui apprezzamenti alle sue parole, che conclude
dicendo “la mafia non è ancora altro da noi”, per lasciare la parola
al leader di Sinistra Ecologia e Libertà.

“Che cosa trae da
questa esperienza del passato un leader politico?” Chiede Bianconi
a Nichi Vendola.

“Un leader politico
è innanzitutto un militante”, esordisce, con le solite pause che
accompagnano spesso i suoi discorsi. Si ricorda, dice, la commozione
e il dolore di quel 19 luglio del 1992, quando ebbe la notizia dal telegiornale
della morte di Borsellino. Racconta la sua esperienza tra le strade
e i paesi della Sicilia per capire che aria ci fosse, racconta dell’amicizia
con Forgione e con Caselli e ricorda uomini come Peppino Impastato e
di una storia che non è finita, perché “mafiopoli non si è mai
chiusa”. È uno strano mondo, ironizza, dove gli uomini che dovrebbero
proteggerci finiscono sul banco degli imputati ma godono della protezione
della politica mentre un ragazzo è condannato a morte in carcere. 
“Il sindaco di Milano si è stupita quando ha scoperto che la ‘Ndragheta
era ormai radicata nella sua città!”. Vendola è d’accordo con
Caselli quando dice che prima di essere un’organizzazione, la mafia
è anzitutto una cultura e che, se non capiamo questo, “l’andreottiano
che è dentro di noi si scoprirà berlusconiano”. L’antimafia deve
essere contestazione e idea per un altro modello di sviluppo.

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