Libera l’Argentina
Per dieci giorni una delegazione di Libera ha visitato l’Argentina per dare corpo ad Alas, la rete di associazioni latino – americane contro mafie, narcotraffico, violenza e corruzione. Un’esperienza utile per far conoscere la legislazione antimafia di cui si è dotato il nostro Paese, ma che il governo Berlusconi, con i provvedimenti legislativi più vari, rende sempre più debole ed incerta. Un intreccio importante con l’Argentina per organizzare una risposta internazionale ad un minaccia, ormai da troppo tempo, divenuta globale. Ne parliamo con Enza Rando, responsabile dell’ufficio legale di Libera.
Che esperienza è stata quella vissuta in Argentina? Avete avuto dei riscontri positivi?
È stata un’esperienza molto interessante, sia perché sono stati fatti degli incontri con una rete di associazioni consolidando il percorso di Alas, che per la constatazione che l’esperienza di Libera, quella di mettere insieme associazioni diverse, superando le frammentazioni, è stata colta con molto piacere. I nostri partner argentini hanno capito, come noi, che mettersi insieme e fare rete è molto importante. Hanno ascoltato molto, come noi abbiamo ascoltato loro, cercando di capire quali sono le problematiche, come vengono vissute e come possono essere tradotte in proposte concrete. Abbiamo avuto anche degli incontri istituzionali con funzionari del Ministero degli affari sociali, che loro chiamano Ministero dei diritti umani, del Ministero della giustizia, e con il Sottosegretario che si occupa di politiche contro il narcotraffico.
C’è attenzione e consapevolezza da parte loro?
Su questo c’è molta attenzione. Nei colloqui istituzionali abbiamo illustrato la nostra legislazione in materia di contrasto al crimine organizzato. Sono molto attenti, anche perché ci rendiamo conto che abbiamo una legislazione, su questo punto di vista molto avanzata, al di là naturalmente di come è gestita e di tutte le complessità che ci possono essere. Così come abbiamo una mafia avanzata abbiamo anche degli anticorpi. Hanno lavorato molto ragionando studiando la legge sulla confisca dei beni e sull’utilizzo sociale di questi beni, cercando di capire bene il nostro percorso associativo. Tanto è vero che con noi c’era un rappresentate dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, con cui il Sottosegretario argentino voleva fare un incontro, che io sappia lo ha già fatto seppure informalmente, per capire se si potesse costruire un protocollo che metta insieme queste due realtà istituzionali per analizzare la nostra legislazione. L’altro problema affrontato è stato quello dei testimoni e delle vittime. Una cosa che abbiamo raccolto è che in Argentina hanno una legislazione intelligente sulla quale vogliamo riflettere, relativa all’accompagnamento e all’assistenza psicologica delle vittime. La loro è, naturalmente, una storia diversa rispetto alla nostra, hanno vittime della dittatura militare. Hanno costruito un impianto normativo, ma anche di accompagnamento vero, tramite una rete di psicologi che opera a livello nazionale. Un accompagnamento considerato, quindi, come un diritto di salute pubblica e di legalità nei confronti delle persone che hanno subito un crimine, una violenza.
Confisca dei beni, testimoni di giustizia, vittime della violenza, su cosa altro vi siete confrontati?
Sicuramente sulla corruzione, che è un fenomeno molto sentito in Argentina. I cittadini hanno una percezione molto diffusa e su questo vogliono, e noi con loro, mettere testa, per recuperare un rispetto istituzionale, da questo punto di vista. Abbiamo imparato ad ascoltare anche le energie, la forza che è uscita fuori dalle mamme di Plaza de Mayo nel rivendicare giustizia, nel seguire i processi costituendosi parte civile.
Libera nel mondo e in molte occasioni porta come esempio una legislazione antimafia italiana che nel frattempo il nostro governo sta smantellando, basti pensare all’emendamento sulla vendita dei beni confiscati poi parzialmente neutralizzato dall’istituzione dell’Agenzia nazionale sui beni confiscati, il ddl Alfano sulle intercettazioni che spunta le armi agli organi inquirenti e all’informazione, non corriamo il rischio che tra qualche anno vengano delegazioni straniere ad illustrarci strumenti legislativi per contrastare le mafie?
Questo è vero e purtroppo in Argentina si coglie. In molti ce lo hanno chiesto, anche in momenti pubblici: come mai se c’è questo strumento giuridico come le intercettazioni il governo vuole bloccarlo? Ce lo ha chiesto un avvocato argentino che era stato in Italia qualche giorno prima per incontrare il presidente della camera e questa situazione l’aveva sentita e analizzata. Abbiamo in Italia degli strumenti giuridici ottenuti, purtroppo, grazie al sacrificio di magistrati, politici, giornalisti. Dobbiamo purtroppo registrare un arretramento, in questo campo, che preoccupa noi e preoccupa anche chi in Argentina vuole prendere ad esempio la legislazione italiana. Dobbiamo, purtroppo, registrare l’atteggiamento schizofrenico di un governo che arretra sugli strumenti utili per il contrasto alle mafie.
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