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Cittadini e politica, la necessità di indignarsi

Di Stefano Fantino il . Campania, Interviste e persone



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Don Tonino Palmese, referente campano
di Libera affronta il tema del rapporto tra istituzioni e società
nei giorni che vedono nuovamente gli ambienti politici campani
invischiati in un mortale abbraccio con la camorra. Un colloquio alla
scoperta di quei modi virtuosi di cooperare che sono la vera risposta
allo strapotere delle mafie.



Il recente coinvolgimento di Cosentino
in un’ulteriore inchiesta, ha di fatto riportato l’attenzione dell’ex
sottosegretario sulla sua Campania. Che segnale è questo? Ricordiamo
che per Cosentino è stato chiesto l’arresto per concorso esterno in
associazione mafiosa…

Io sono shockato perché per i campani
sembra che non significhi niente perché non c’è reazione, non c’è
dibattito, non c’è indignazione, non ci sono dei segnali politici
forti dall’una e dall’altra parte. E non parlo di dichiarazioni
forti, ma di gesti che simbolicamente possano riaprire e riattivare
la coscienza delle persone. Non abbiamo capito chi è che si deve
incatenare per riaprire una riflessione su questi temi.

Anche perché in regione si è arrivati
a una svolta dopo anni di governo Bassolino. Vede spiragli di
cambiamento reale, che non sia solo di parte politica?

No, perché, ti ripeto, vedo i
cittadini oramai così disincantati, così distratti, così accaldati
da questo luglio, che tutto questo sta passando in cavalleria. La
gente non ne parla, non prende posizione, non reagisce.

Pensi che la società civile deve
quindi saper promuovere una riscossa alla base, per influenza anche
l’azione politica?

Sì, per uscire da quella dialettica
che sta rovinando tutto, destra e sinistra. E qual è questa
dialettica? Quella di dire “si è vero, noi abbiamo il marcio ma
pure voi ne avete avuto”, quelli che ne hanno avuto non riescono a
ricordarsi che il marcio si chiama marcio, aldilà della provenienza,
e su questa dialettica molto ambigua non si apre un dibattito serio.

E intanto la compravendita di voti
della camorra finisce di nuovo sui giornali: è emersa l’attività
di compravendita di voti da parte di Ferraro, Udeur, a Scampia,
tramite accordi coi Casalesi. Non la stupisce la cosa, presumo?

Riguardo queste situazione non mi
stupisco più di tanto, sappiamo bene che in certi quartieri il voto
raramente è pulito. In genere si tratta di voto di scambio, nella
migliore delle ipotesi in cambio di una occupazione o del
mantenimento di un lavoro, o peggio ancora un voto di collusione con
i poteri forti della criminalità.

In questa situazione come si muove la
Chiesa e a cosa ambisce, dovrebbe ambire per incidere su questo stato
delle cose?

Io penso che una delle cose positive
che poco emerge ma di fatto accade in molte comunità locali è
quello del ritorno alla vita comunitaria. Aldilà del motivo
confessionale che è importante e in alcuni casi determinante, è un
modo in sé per essere alternativi alla subcultura del territorio.
Quando si parla di comunità significa certamente aggregazione, presa
di coscienza dei problemi e soprattutto la capacità di stare insieme
per non diventare schiavi di nessuno. Questo si sta cercando di farlo
in molte realtà parrocchiali, Scampia compresa e questo mi sembra
uno dei migliori segnali propositivi possibili, anche perché poi il
modo migliore di combattere la cultura della criminalità organizzata
non è quella di presidiare il territorio con una semplice denuncia,
ma quello di essere alternativi al modello esistenziale che
propongono le mafie.

Che può partire da un lavoro serio con
le istituzioni per il riuso sociale dei beni confiscati…

Su quel terreno stiamo facendo un
ottimo lavoro sottotraccia. Per esempio stiamo cercando di mettere
insieme istituzioni locali e imprenditoria sana per recuperare i beni
confiscati e farli diventare luoghi di lavoro, luoghi alternativi al
disagio della disoccupazione. Non posso ufficializzare ancora alcune
cose, ma il dato è che sia le istituzioni e alcuni grandi
imprenditori napoletani, molto seri che non hanno nessuna collusione
con la mafia, stanno cercando di mettere in piedi questa realtà.
Perché su alcuni spazi si possa per motivi di sviluppo mettere
insieme giovani che possano lavorare.

Ritiene che l’approccio politico a
questi temi, dal locale al regionale sia differente, forse più
semplice nel primo caso?

Io penso che quando si è abbastanza
protetti da alcune forme sane di istituzioni, penso alle prefetture,
penso ad alcune procure, le istituzioni locali diventano molto più
disponibili. Se possiamo portare un successo a casa posso dirti che
le espressioni più alte delle istituzioni che non hanno un mandato
politico credono molto nella realtà di Libera e nelle cose che
stiamo facendo.



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