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Castellammare di Stabia: accoglienza e migranti

Di Stefano Fantino il . Campania

Maurizio e la sua associazione, nonviolenta e pacifista, si occupano dal 2007 della Casa della Pace e della Non Violenza di Castellammare di Stabia, un bene confiscato al clan D’Alessandro, e ora punto di appoggio per i tanti migranti della zona. Che altrimenti entrerebbe facilmente nel circuito malavitoso. Un colloquio con Maurizio per capire come sociale e accoglienza siano spesso le prime tecniche di resistenza al mondo mafioso. 

Maurizio, di cosa si occupa la vostra associazione? 

Noi come associazione ci connotiamo per la scelta nonviolenta e pacifista, ma nel pratico, qui a Castellammare ci siamo da sempre impegnati sul campo dei migranti, perché qui, in zona, abbiamo un grosso flusso di immigrati, spesso da paesi dell’ex Unione Sovietica o dell’Est, tra cui molte donne che lavorano come badanti. Abbiamo lavorato con la comunità bulgara moltissimo, noi facevamo corsi di italiano, loro hanno formato una associazione presso la sede della nostra. Insieme a loro incontrammo l’amministrazione e ragionammo sul progetto di uno sportello informativo sui migranti. E nella fattispecie vi era il grosso problema dell’alloggio, perché loro come badanti si trovano da un momento all’altro, qualora perdono il lavoro, a finire in mezzo alla strada, non avendo una sistemazione immediata. 

In quel momento l’esigenza dell’associazione incontra il mondo dei beni confiscati? 

Il bando di affidamento del bene entro cui lavoriamo è del 2007, ed è stato fatto dal Consorzio Sole. Noi ci trovammo coinvolti quasi per caso. Andammo in assessorato dove avevamo lo sportello e notammo una riunione molto affollata e per curiosità entrammo per capire cosa stava succedendo. Una riunione con molte associazioni stabiesi era l’occasione per discutere dell’affidamento di questo bene, confiscato al clan d’Alessandro. Tutte le associazioni che intervenivano, giustificavano le motivazioni per cui loro dovevano essere affidatarie con la volontà di avere una sede sociale. A quel punto intervenni e dissi che il centro storico, con gravi problemi legati al rapporto tra immigrati e la gestione di case e alloggi da parte della camorra, poteva essere utile dare in affidamento il bene per supplire a quella situazione. Lì il problema è enorme, spesso gli immigrati sono stipati a vivere in 10 in una stanza, la polizia fa molte retate. In fondo ritengo che un uso sociale come quello sarebbe stato in linea con quello che veniva richiesto. Al che ci decidemmo a partecipare al bando, senza pensare di poter essere scelti e invece da lì iniziò il nostro percorso. 
 

Questa storia ci fa capire come l’accoglienza, i migranti e la lotta alle mafie siano intimamente legate. Come funziona il vostro lavoro sul territorio? 

Noi ci muoviamo su diversi campi; uno è quello dell’assistenza ai migranti. Un altro, importante, è quello dell’antimafia, che ci ha fatto conoscere le storie dei migranti. Da noi la camorra è molto visibile e percepibile, noi ci siamo scontrati con storie di migranti e camorra, con questo aspetto: ragazze che vengono selezionate e messe sulla strada, ragazzi che vengono fatti diventare pusher. C’è una organizzazione per cui questi, quando giungono qui, arrivano in piazza Municipio la domenica mattina e devono per forza incontrare qualcuno che poi ne condiziona la vita qui. Noi ci siamo inseriti in questo percorso, il nostro approccio alla questione dei migranti è nato proprio dall’impegno contro la camorra. Facciamo assistenza, alloggiamo le persone appena arrivate, abbiamo un sportello di assistenza che cerca di impedire che abbiano a che fare con la malavita. Poi, ciclicamente, in un percorso che chiamiamo “antimafia dei fatti”, teniamo conferenze e incontri coi familiari delle vittime e magistrati, nella nostra struttura che è al centro del quartiere antico, ancora dominio del potente clan dei D’Alessandro. 

Tra i ragazzi che hanno frequentato e frequentano il campo hai notato una percezione distante del fenomeno mafioso, come fate loro capire la realtà delle cose? 

Il problema un po’ c’è, anche oggi durante un incontro i ragazzi hanno mostrato di vedere la cosa come lontana, non una cosa direttamente loro. Invece ce l’hanno, le mafie, nel loro città. Ma in un altro modo, noi abbiamo la manovalanza, la mafia visibile. Ma in tempo di crisi le aziende, l’economia spesso i soldi li ha trovati qui. Il colletto bianco, la mente, che oggi decide  non sta qua, ma al nord. Difficile da farlo capire, perché molto spesso invisibile e non parte della loro quotidianità come può accadere da noi. Ma decisamente reale. 

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