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Intercettazioni, l’udienza filtro contro il bavaglio

Di Stefano Fantino il . L'analisi

Qualcosa si muove nella mischia che da due anni, era il 13 giugno 2008, tiene avvinti diritto di informazione e di indagine. Ieri, in commissione Giustizia, alcuni emendamenti presentati dal Pdl hanno avuto la duplice funzione di dare una svolta al cosiddetto ddl intercettazioni e, in seconda battuta, di portare acqua ai finiani “dissidenti” del Pdl, facendo tuonare il premier: «Questa legge così non risolve nulla, lascia tutto com’è». Fatto cenno a questa doverosa parentesi, cerchiamo ora di guardare alle modifiche al ddl, anche perché qualche novità c’è. Quella sicuramente più rilevante riguarda la pubblicazione delle intercettazioni: cadrà l’obbligo del segreto nel momento stesso in cui ne verrà valutata positivamente la rilevanza. Una boccata di ossigeno rispetto al testo originale, ma rimangono ancora alcuni punti poco chiari, soprattutto su alcune tempistiche che se non ben stabilite potrebbero comunque impedire per mesi o anni la conoscenza di alcuni fatti da parte dell’opinione pubblica. 

Un filtro alle intercettazioni 

Si entra di fatto nel cuore della cosiddetta “udienza-filtro”, il meccanismo che il governo ha introdotto per fare, appunto, una cernita tra intercettazioni rilevanti o meno. In pratica nel corso delle indagini ogni qual volta una intercettazione sarà valutata nella sua rilevanza cadrà l’obbligo di segretezza. La quale rimarrà solo fino all’udienza, tra pm e avvocati, entro la quale ci sarà una selezione, un filtro, e verranno scartate, tra le intercettazioni depositate dal pm, tutte quelle relative a fatti, persone e circostanze che sono del tutto estranee alle indagini. Viene quindi soppresso la parte del testo che vietava la pubblicazione delle intercettazioni sino alla conclusione delle indagini, che rimangono comunque coperte da segreto fino a quando le parti non ne siano venute a conoscenza. Rimane il grande interrogativo sui tempi della cosiddetta “udienza-filtro” che implica, nel caso di indagini particolarmente complesse, un oscuramento sul tema pari alla durata del lavoro investigativo. In certe situazioni questo significherebbe mesi o anni, con buona pace della funzione giornalistica di informare l’opinione pubblica. 

Cernita e secretazione 

Le altre modifiche al testo, per la cronaca presentate dallo stesso Giacomo Caliendo coinvolto nei fatti della cosiddetta P3, danno ordine anche all’utilizzo delle intercettazioni da parte del pm e del giudice prima dell’udienza-filtro, per emettere provvedimenti cautelari o decreti di perquisizione, ad esempio. Giudice e pm dovranno fare una selezione delle conversazioni da trascrivere, quelle necessarie per adottare la misura cautelare o ottenere il decreto utile all’indagine.  Nell’emendamento sono inoltre  indicate tutte le modalità tecniche per selezionare le intercettazioni rilevanti e viene stabilito il divieto di trascrivere parti di conversazioni che riguardano fatti, circostanze o persone estranee alle indagini. Sempre a giudice e pm la facoltà, invece, di disporre, con apposito decreto, dell’obbligo del segreto su alcune conversazioni nel momento in cui la pubblicazione potrebbe ledere la riservatezza di taluni individui. In questo ambito una novità interessante riguarda la possibilità del giudice, su richiesta delle parti o d’ufficio, di riascoltare vecchie registrazioni ormai in archivio e intercettazioni considerate precedentemente irrilevanti, anche dopo la conclusione delle indagini preliminari. 

Fnsi, passo avanti ma permangono dubbi 

Le reazioni del sindacato dei giornalisti, la Fnsi, non si sono fatte attendere. Tramite un comunicato la Federazione parla di “passo avanti” netto ma di questioni ancora aperte. L’udienza-filtro, sollecitata da tempo, ha infatti dimostrare di essere, si legge nella nota,  «strumento il giusto equilibrio fra il diritto alla riservatezza, il diritto-dovere di informare e il diritto dei cittadini a conoscere le vicende di rilevanza pubblica».  Le questioni su cui la Fnsi rimane ancora perplessa riguardano le tempistiche dell’udienza-filtro e il mondo in cui le notizie verranno poi date via stampa. La prima questione verte sul deficit dell’emendamento che non stabilisce  un termine certo entro il quale l’udienza-filtro debba svolgersi: «se manca questa indicazione vincolante, si rischia – scrive la Fnsi- che il segreto sulle intercettazioni duri per mesi o anni; il bavaglio, rimosso in linea di diritto, verrebbe ripristinato nei fatti». Ora la decisione di creare il momento dell’udienza-filtro non spiega secondo il sindacato la permanenza dell’obbligo al riassunto: «non se ne comprende la ragione, una volta che l’udienza-filtro abbia escluso le parti delle intercettazioni prive di rilevanza pubblica». Cambiamenti ce ne sono stati, ma la battaglia del sindacato che già a Piazza Navona aveva promesso un luglio di fuoco non si ferma. Perché questi passi verso il diritto di informare diventino certezze.

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