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Riesi, omicidio e favori

Di Rosario Cauchi il . Sicilia



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Mentre, da pochi giorni, il Tribunale
del Riesame di Caltanissetta ha confermato la detenzione
dell’ingegnere nisseno, Pietro Di Vincenzo, delle mosse del gruppo
imprenditoriale si parla anche nell’ambito dell’inchiesta che ha
condotto all’individuazione degli assassini di Vincenzo Napolitano,
ex sindaco di Riesi.

All’indomani dell’operazione, infatti,
emergono taluni particolari che legano l’omicidio del 23 Maggio del
1992 ad appalti pubblici, mazzette e divisioni interne ai gruppi
mafiosi riesini.

Già Salvatore Riggio, leader, insieme
al fratello Calogero, del gruppo che contendeva la leadership
criminale alla famiglia Cammarata, aveva indicato l’interesse di
Vincenzo Napolitano verso taluni appalti da assegnare all’impresa “Di
Vincenzo” di Caltanissetta, retta all’epoca da Andrea e Pietro Di
Vincenzo.

La società, infatti, in cambio dei
lavori avrebbe dovuto garantire il 10% dell’intero ammontare al
sindaco, in passato anche assessore ai lavori pubblici del Comune di
Riesi, e alle famiglie mafiose, che, a conclusione dell’iter,
incassavano solo il 3%: mentre il resto veniva acquisito da Vincenzo
Napolitano.

Così funzionava, tra la fine degli
anni ’80 e l’inizio dei ’90, l’economia nei territori sotto il
controllo dei gruppi di Riesi: “per poter lavorare, bisognava
passare da noi”, questa una delle ammissioni dei fratelli Riggio.

A quanto pare, Vincenzo Napolitano,
allo scopo di agevolare il gruppo ribelle, aveva assunto il ruolo di
mediatore fra imprenditori ed organizzazioni criminali.

Particolare confermato anche dal
collaboratore di giustizia gelese, Crocifisso Smorta, tra i più in
vista all’interno del clan Emmanuello, e ritenuto stratega della
missione di morte del Maggio di diciotto anni fa. Egli, infatti,
avrebbe accompagnato due killer del gruppo, Nunzio Cascino ed il
quindicenne, Francesco Vella, a Riesi per procedere all’esecuzione
del piano.

Stando al suo racconto, il ruolo di
Napolitano era già noto ai gruppi mafiosi della zona, come
confermato da una sua visita al primo cittadino, in rappresentanza di
un ingegnere gelese, quando l’attuale collaboratore operava alle
dipendenze di un’azienda della sua città d’origine.

Vincenzo Napolitano, dunque, sarebbe
caduto vittima dei sicari gelesi anche a causa dell’instaurazione di
un vero monopolio nella gestione di strategici gangli economici.

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