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Milano, più diritti agli immigrati

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

Il fenomeno immigrazione… A partire da Milano”: è questo il titolo dell’interessante convegno promosso questa mattina a Milano da un vasto cartello di associazioni che vogliono occuparsi, o meglio, continuare ad occuparsi degli spinosi temi connessi all’immigrazione.

Da alcuni mesi Acli, Acli Anni Verdi Ambiente, Arci, Cgil, Emergency, Fillea Cgil, Legambiente, Libera, Primo Marzo e Saveria Antiochia Omicron hanno deciso di unire forze e competenze per essere di stimolo alle istituzioni e anche all’opinione pubblica nell’affrontare la questione immigrazione in una prospettiva culturale e non – come purtroppo avviene da tempo nel Paese e non solo a Milano – soltanto sotto la lente d’ingrandimento della sicurezza che lascia spazio solo alla dimensione penale, trascurando del tutto quella sociale.

Il dibattito di oggi è servito per definire meglio alcune questioni di ordine giuridico da un lato e rilanciare alcune proposte di ordine pratico dall’altro.

Nella prima parte della mattinata si sono alternati studiosi come Maurizio Ambrosini, docente di sociologia all’Università Statale di Milano e Alessandro Rosina, docente di demografia alla Cattolica di Milano. A loro il compito di definire i contorni del fenomeno migratorio a livello nazionale e a livello milanese. In evidenza la mancanza di alcuni dati che sarebbero utili non solo agli studiosi ma anche alle istituzioni. Secondo gli esperti, l’attuale fase che vede spostata completamente sull’asse penale la problematica migratoria rischia di alimentarsi di paure e stereotipi, se non intervengono analisi più legate alla realtà.

Anche Adel Jabbar, studioso dei processi migratori ha rimarcato la difficoltà di addivenire ad una univoca rappresentazione della complessa realtà degli immigrati in Italia. Le formule adottate finora per intervenire sul bisogno di rappresentanza politica degli immigrati – per esempio il mediatore culturale – hanno cooptato nelle strutture amministrative degli enti locali persone che, a buon diritto, avrebbero potuto meglio esercitare un ruolo di rappresentanza politica. Secondo il sociologo, l’altro da noi – in particolare lo straniero – continua ad essere vissuto come una minaccia, una patologia nei confronti del quale serve sviluppare una sorta di “scudo umanitario”, che di umanitario non ha proprio nulla.

È stata poi la volta del segretario della Camera del Lavoro di Milano, Onorio Rosati, che ha rilanciato l’impegno del sindacato nel costruire processi di integrazione: “Occorre ricostruire una memoria storica condivisa il più possibile – ha detto Rosati – per mettere le istituzioni di fronte alle loro responsabilità. A Milano oggi manca il coraggio alla politica per affrontare la questione con la testa e non con la pancia”. Il segretario della CGIL ha ricordato anche che lo strumento del lavoro può essere un formidabile veicolo di integrazione, ma usato male può trasformarsi in uno strumento di profonda discriminazione, esprimendo ancora profonde critiche ai guasti provocati in tale direzione dalla legge “Bossi-Fini”.

Dure parole anche quelle pronunciate da Don Virginio Colmegna della Casa della Carità:  “Le diversità sono una ricchezza e quindi il problema immigrazione non va inquadrato come problema di sicurezza, ma di integrazione. Il nodo cruciale è la concessione del diritto di voto amministrativo. Basta con i permessi di soggiorno rilasciati dalle questure, siano le amministrazioni locali a svolgere questo ruolo”. Colmegna ha anche ricordato che l’attuale confusione tra i concetti di irregolarità e clandestinità non aiuta nella comprensione del fenomeno.

L’ultimo intervento della giornata è stato quello del presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida che ha ribadito la necessità di uscire dalla fase penale e repressiva nella gestione dei flussi migratori.

Va riconosciuto il diritto di voto agli immigrati, secondo quanto previsto da una Convenzione del Consiglio d’Europa del 1992 in tema di diritti degli stranieri. Una convenzione che l’Italia ha parzialmente ratificato, trascurando peraltro proprio quest’ultimo aspetto. Purtroppo soltanto 8 dei 47 stati che afferiscono all’area di influenza del Consiglio d’Europa hanno ratificato la convenzione, segno quindi di difficoltà di ordine culturale e sociale che non riguardano soltanto il nostro Paese.

Secondo Onida, se nel passato vi è sempre stata una continua tensione tra cittadinanza e nazionalità, oggi il quadro interno ed internazionale è profondamente mutato e quindi occorre tenerne conto per creare un nuovo concetto di cittadinanza. La concessione del voto agli italiani all’estero nell’attuale formulazione è stato un elemento di rottura e quindi oggi non si capisce perché non dare il voto amministrativo agli stranieri che abitano in Italia, a differenza di quegli italiani che abitano all’estero. Analogo discorso vale per l’ammissione alla cittadinanza italiana. Oggi il percorso per accedervi, secondo quanto il presidente emerito ha spiegato, è reso ancora più arduo, incentivando il ricorso alla clandestinità.

In sintesi, l’iniziativa di oggi è servita alla Rete della società civile milanese per ribadire la centralità della persona umana e avanzare la richiesta del diritto di voto amministrativo agli immigrati regolari e della concessione della cittadinanza italiana per chi nasce e cresce in Italia.

Per monitorare la risposta delle istituzioni e della politica, le associazioni sopra ricordate si impegnano a dare vita ad un “centro di osservazione civile e permanente” che solleciti risposte concrete su temi fondamentali quali diritti, lavoro, ambiente, legalità e immigrazione.

Gli organizzatori hanno ribadito in apertura e chiusura del dibattito che “la Rete di Reti è un luogo aperto della società civile milanese e, per questo, tutte le organizzazioni che desiderano impegnarsi in questo percorso comune per il futuro di Milano sono invitate a parteciparvi”.

La parola ora alla politica milanese. 

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