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Dell’Utri e la ‘ndrangheta

Di Roberto Rossi e Roberta Mani il . Atti e documenti

Riportiamo un estratto dal libro “Avamposto. Nella Calabria dei giornalisti infami” che gli autori Roberta Mani e Roberto Rossi presenteranno oggi alle 18.30 presso la MelBooks di via Nazionale a Roma.

Un omicidio di tale fragore, un’autobomba nel cuore di Gioia Tauro non può accadere senza il placet dei Piromalli, non può accadere se non voluto dai Piromalli. E soprattutto non può accadere se non inserito in un contesto di scontro tra le ’ndrine.

Rugolo alleati dei Molè, Crea legati ai Piromalli. La geografia delle cosche all’ombra del porto va ricondotta sempre alle stesse famiglie. Rizziconi è un campo di combattimento periferico dove si gioca la partita di una guerra più grande. L’ascesa del clan Rugolo, l’arresto di Teodoro Crea, è un’offesa per i Piromalli, oltre che una pe – ricolosa avanzata di campo e di influenza dei Molè nel territorio. Ecco perché colpire Nino Princi, u ’mpamu che con una soffiata aveva causato l’uscita di scena dei Crea, ecco perché ucciderlo con una modalità che ha un significato preciso. È un fortissimo e rumoroso pugno sul tavolo. Una frase. Un messaggio definitivo e inappellabile. A Gioia comandiamo noi, sembrano voler dire i Piromalli.
Eppure, la necessità di uccidere in modo così eclatante, di assumersi un rischio così forte – la risposta dello Stato, l’indignazione dell’opinione pubblica, e quindi la riduzione vertiginosa del volume degli affari – si può spiegare solo in un modo. Paura. I Piromalli hanno paura. Paura di perdere il predominio sul territorio. Paura di non avere più la forza di comandare. Paura di tradire una storia che da oltre un secolo li vede sovrani indiscussi della Piana. Il problema si chiama 41 bis. Il carcere duro che impedisce al vecchio capobastone di impartire i suoi ordini. L’emergenza che ha lasciato la famiglia in mano ad Antonio, un capo non abbastanza autorevole per mantenere lo status quo del potere mafioso.
«Pronto.»
«Dimmi.»
«Senti una cosa ho assoluto bisogno che o tu o Totò
(Antonio Piromalli, n.d.r.) parliate immediatamente con
l’avvocato (…) perché mi deve dare dei consigli assolutamente
prima di giorno dieci.»
«Sì.»
«Per la faccenda di Pinuccio, va bene… di Pino!»
«Eh, e domani mattina possiamo andare a trovarlo là a
Genova.»
«Va a trovarlo là a Genova, dove cazzo sta, perché giorno
dieci sta arrivando e me la stanno mettendo nel culo.»
«Va bene dai.»
«Sto cazzo di ministro non si può muovere in nessun
modo.»
«Va bene.»
«Lascia tutti i cazzi e vediamo questa cosa. Sennò siamo
fottuti. Lascia tutto, gli affari, il cemento, il petrolio, la
madonna, vediamo questa faccenda.»
«Perfetto!»
«Sennò abbiamo la guerra in casa.»
La loro guerra, alla fine, i Piromalli l’hanno avuta lo stesso. Ma questa conversazione, intercettata cinque mesi prima dell’omicidio Princi, e due mesi prima della morte di Rocco Molè, rientra nel piano di non usare gli artigli, di tentare piuttosto la strada della politica. È il 27 novembre 2007. Al telefono, Aldo Miccichè, il vecchio faccendiere residente in Venezuela e Gioacchino Arcidiaco, intimo amico del figlio di don Pino Facciazza e referente della famiglia nel commercio di agrumi con gli Stati Uniti, condannato in via definitiva per traffico di armi e stupefacenti. È Aldo, quello che fino a ora ha seguito l’affaire 41 bis, il più affannato. Chiede a Gioacchino che vive a Milano, di andare a parlare con un avvocato. Un av- vocato che ha amicizie importanti, «amicizie milanesi». Sono preoccupati, lottano contro il tempo, si avvicina il dieci dicembre, giorno in cui verrà riconfermato il regime di carcere duro al vecchio patriarca, don Pino Piromalli. «La mancanza di un soggetto di tal genere» scrivono i giudici nell’ordinanza di custodia cautelare Cent’anni di storia, «e, soprattutto, la difficoltà di mantenere rapporti stabili e utili col figlio a causa della pesantezza del regime carcerario cui era sottoposto, era particolarmente sentita. (…) La prospettiva di una sua possibile scarcerazione o di un allentamento del regime che si era profilata, si era poi allontanata a seguito della sua condanna in primo grado alla pena dell’ergastolo per l’omicidio di Ioculano. Era, pertanto, prioritario interesse dell’organizzazione ottenere un alleggerimento, quanto meno, della posizione carceraria del capo per ripristinare quel flusso di rapporti che le era, più che utile, indispensabile.» 
Ecco perché i Piromalli le provano tutte per far attenuare il regime del vecchio leone, ecco perché, tramite Miccichè, si bussa insistentemente, fra l’altro, alle porte del Ministero della Giustizia, allora guidato da Clemente Mastella. 
Miccichè ci prova chiamando il ministro sul cellulare. Vuole mandargli qualcuno. Vuole con urgenza fissare un appuntamento per un amico che gli parli dell’affaire Piromalli. Mastella capisce chi c’è dall’altra parte e interrompe la comunicazione quasi immediatamente. È il capitolo finale di un buco nell’acqua, la trama tessuta dal vecchio politico in esilio che da oltre un mese tampina i più importanti collaboratori del guardasigilli, almeno secondo quanto lui stesso riferisce al figlio di don Pino nelle quotidiane conversazioni telefoniche: «Mi hanno fatto capire che tenteranno di fare quello che sottobanco devono fare.» La prima doccia fredda era arrivata due settimane prima, il 25 novembre. Le cose non si muovono. Dal Ministe- ro, dice Miccichè ad Antonio Piromalli, sono gentili, sembrano disponibili, ma continuano a ripetergli di aspettare. Miccichè capisce che si è infilato in un vicolo cieco. Da Mastella non può ottenere nulla, «ha paura di muoversi» dice, soprattutto perché è nel bel mezzo di una bagarre politica-giudiziaria. 
Il 14 ottobre 2007 il ministro della Giustizia, infatti, è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Catanzaro. Si indaga su un comitato d’affari formato da politici, imprenditori e giudici finalizzato a ottenere finanziamenti dall’Unione Europea. Dalle intercettazioni sono emersi rapporti tra Mastella e l’imprenditore Giuseppe Saladino, titolare della società di lavoro interinale Why not. È la famosa inchiesta di Luigi De Magistris, il Pm per il quale lo stesso Mastella, il 25 settembre 2007, aveva chiesto al Csm il trasferimento dalla Procura calabrese. Una richiesta avanzata dopo che gli ispettori ministeriali avevano trovato «gravi anomalie» nella gestione dell’inchiesta Toghe Lucane. Nel periodo in cui arriva la telefonata di Miccichè, la polemica politica è alle stelle, anche perché si attende la decisione del Consiglio superiore della magistratura sulle sorti del giudice. Un nervoso Miccichè prova a spiegare il clima politico al delfino Piromalli.
«Sto cazzo di ministro… questo povero disgraziato non sa come muoversi, non sa se è un ministro, non sa se lo sentono, non sa se sta dentro o se sta fuori, è ricattato in qualsiasi momento… ha paura a parlare per telefono… ha paura se devono mandargli una mail… cambiano un fax al giorno. (…) L’Italia in questo momento è ingovernabile!» 
«A maggior ragione…»
«Tutti hanno paura e non si muovono.»
«Quindi non sappiamo se sono andati avanti…»
«Loro dicono di sì però io fino a quando non vedo… fino a quando non tocco con mano non ci credo.»
«Oramai dieci giorni sono rimasti.»
«Dieci giorni restano… secondo te io non lo so me lo
devi dire tu… secondo te io perché sono incazzato.»
«Ma la danno o no una risposta?»
«Non
si sono sbilanciati (…) D’altro canto ci stiamo
muovendo politicamente in un momento in cui la politica in Italia è nella merda più assoluta!… hai capito: la merda! Questa è la verità! (…)»
«Sì, ma tanto più di là non possono andare…»
«Sì, ma questo è un discorso che va bene a noi… ma non va bene a loro… non si sa se resta questo governo, se non resta questo governo, se lui resta ministro, se lui non resta ministro… se fa la crisi di governo, se non fa la crisi di governo… se si va a votare, se non si va a votare, che cazzo succede in questo centrodestra, che cazzo succede in questo centrosinistra… ’Sti cazzo di comunisti che stanno rompendo i coglioni a tutti i livelli possibili e immaginabili e alla gente che lavora… alla gente che è nostra… chiaro o no?! Questi che si vendono per niente… questa è la verità vera! Vedi tu la prendi sotto un aspetto, io purtroppo sono costretto a vederla sotto l’aspetto politico perché quella è la strada che ho!» 
La carta del Ministero è compromessa. Aldo Miccichè ha tentato altre strade, ci ha provato con Mario Tassone, esponente dell’Udc: «Ti aspettano tutti con le braccia aperte» dice al capomafia, «da Casini in giù.» Nulla. Ci prova con la massoneria, con «la strada dei giudici» parla di contatti «segretissimi col Vaticano.» Non resta che «la strada milanese». Soprattutto dopo aver capito, tramite un emissario politico, così dice lo stesso Miccichè intercettato, che si preparano nuove elezioni. Siamo al 2 dicembre del 2007. Il governo Prodi cadrà il 24 gennaio 2008, dopo le dimissioni di Clemente Mastella.
«Pronto?»
«Pronto.»
«Senatore Dell’Utri, buonasera.»
«Sì, chi parla?»
«Gioacchino… ci siamo sentiti un paio di giorni fa…
non so se si ricorda… tramite Aldo Miccichè…»
«Ah, come no?!! Certo, sì, sì!»
«Scusi se la chiamo a quest’ora…»
«No, prego, prego…»
«Sono praticamente appena arrivato a Milano… quindi…»
«Quindi, non so… Aldo mi aveva detto che ci doveva…
che ci potevamo incontrare…»
«Domani a Milano, no?»
«Sì, domani, sì!»
«Mi ricorda il suo cognome, Gioacchino?»
«Arcidiaco.»
«Arcidiaco?»
«Sì.»
«La ringrazio per la disponibilità.»
«Allora ci conosciamo domani, grazie a lei!»
«Perfetto! Arrivederci.»
«Arrivederci, buona serata!»
«Il fronte milanese» si chiama Marcello Dell’Utri. Gioacchino Arcidiaco, intimo di Antonio Piromalli, chiede e ottiene un appuntamento. Già condannato in primo grado a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, Marcello Dell’Utri in quel periodo si occupa di organizzare i Circoli delle Libertà, strutture territoriali per avvicinare i giovani al Popolo della Libertà. Una fabbrica del consenso che dovrebbe agire sul medio periodo, ma che, per come si stanno mettendo le cose a Palazzo Chigi, sul finire del 2007, si trasforma in una macchina lanciata ad altissima velocità sulla prospiciente cam- pagna elettorale. I mafiosi della Piana lo sanno. Sanno che si preparano nuove elezioni, sanno che «la vicenda Berlusconi sta arrivando in porto»; è a lui, al senatore Dell’Utri, secondo le intercettazioni, che si rivolgono per offrire un enorme pacchetto di voti in cambio di un favore importante. La richiesta non sarà più solo l’alleggerimento del carcere duro al patriarca, ma soprattutto quella di riuscire a ottenere una carica diplomatica per Antonio, il rampollo destinato a diventare il capobastone della ’ndrina. Un ruolo, per il quale è prevista l’immunità diplomatica, che gli garantisca impunità vita natural durante. 
Al telefono, subito dopo la conversazione intercorsa con Dell’Utri, è Gioacchino che chiede consiglio al vecchio Miccichè su come entrare in relazione col senatore: 
«Ecco voglio capire in che termine mi devo proporre…» 
«Vai ad avere con Marcello Dell’Utri, attento… perché dato che ormai è sicuro che la vicenda Berlusconi sta arrivando in porto, è chiaro? Ci spiegaci chi eravamo… (…) è importante che capisca chi siamo noi, attento! Fagli capire guarda che quando Aldo (Miccichè si riferisce a se stesso usando la terza persona, n.d.r.) era segretario provinciale della Democrazia Cristiana, tutti i comuni della provincia di Reggio, cento, erano democristiani. Secondo, Aldo pigliava 105.000 voti, la Piana… la Piana è cosa nostra facci capisciri… (…) Fagli capire che… il porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi insomma, hai capito no? Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi, hai capito?… Fagli capire che insomma…» 
«Sì, sì, sì (…)»
«Mica è facile parlare con Marcello Dell’Utri, parliamoci chiaro… parlare con Marcello Dell’Utri significa l’anticamera di Berlusconi… forza!»
«Eh… senti una cosa…»
«Lui vorrà che si facciano i Centri della libertà…»
«Ho capito! ho capito! però ti faccio…»
«E tu gli dici che noi siamo a disposizione che quando deve partire l’operazione per i Centri lui deve venire incontro!»
«Soprattutto! Ma su questo abbiamo discusso in famiglia eh… noi abbiamo solo una richiesta che non è né finanziaria né di mio zio né di altri… è che almeno, non tanto su di me, ma su quanto mio cugino gli venga riconosciuta in qualche forma… in qualche cosa… l’immunità.»
«Va be’, è naturale.»
«Che sia un…»
«Lui si trova in un momento…»
«Guarda Aldo che gli venga dato un Consolato dello Stato russo, vietnamita, arabo, brasiliano non mi interessa…perché…»
«Questo lo possiamo fare!»
«Ecco perché se c’è zio fuori e pure lui… eh… poi siamo
rovinati!»
«Esatto! Questi discorsi falli a quattro occhi naturalmente.»
«Certo! (…)»
Gioacchino Arcidiaco riuscirà a incontrare Marcello Dell’Utri nel suo ufficio milanese. Lo stesso senatore intervistato dal «Corriere della Sera» ammetterà di averlo conosciuto, pur dicendo di non ricordare il contenuto delle discussioni intercorse tra loro. Da un’intercettazione telefonica dello stesso 3 dicembre 2007, il giorno del primo incontro, però è possibile capire che Gioacchino Arcidiaco, da quel momento, avrebbe avuto un ruolo nella costituzione dei Circoli delle Libertà nella Piana di Gioia Tauro. Marcello Dell’Utri non sarà indagato per quelle con- versazioni, stessa sorte per Clemente Mastella e per Mario Tassone. Né i Piromalli riusciranno a liberare don Pino dal 41 bis o a ottenere alcun tipo di immunità per Antonio. Le carte dell’inchiesta sono comunque confluite negli atti del processo d’appello presso il Tribunale di Palermo contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Altre intercettazioni rivelano che i contatti tra gli uomini della ’ndrina Piromalli e il senatore dureranno almeno fino al marzo del 2008, a poche settimane dal voto. Il vecchio faccendiere residente in Venezuela prometterà 40.000 voti in Calabria e 10.000 in Lombardia. Le indagini subiranno una battuta d’arresto dopo che lo stesso Miccichè sarà informato – «da Reggio, persone di primissimo piano… amici miei di vecchissima data… molto importanti… anche se sono in pensione, sanno quello che succede…» – che le conversazioni sue e dei suoi soci sono ascoltate. Sarà lui stesso a dirlo ad Arcidiaco: «Vi dovete muovere con molta cautela, perché ho ricevuto una telefonata da Reggio da persone che tu nemmeno ti immagini, molto, ma molto alte, di stare molto attenti.» 

tratto da:
AVAMPOSTO
Nella Calabria del giornalisti infami
di Roberta Mani e Roberto Rossi
Marsilio Editore

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