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Nella terra di Messina Denaro la villa dei mafiosi restituita alla collettività

Di Rino Giacalone il . Sicilia

La scena è quella solita. La consegna di un bene confiscato alla mafia assassina e violenta che finisce con l’essere festeggiato da quelli che potremmo definire «i soliti noti». Sono quelli che ogni giorno «in silenzio» (suggerisce don Luigi Ciotti presidente di Libera) combattono nel sociale la mafia e poi magari passano per «professionisti dell’antimafia». È ancora successo giorni or sono nella frazione di Triscina, una villetta che fu del capo mafia partannese Stefano Accardo detto Cannata che adesso avrà nuovo uso, per i bambini, i giovani e le loro famiglie, luogo di accoglienza per chi vive nella fascia più debole e più povera della nostra società. Tanta ragione per far festa ed essere molti, con le istituzioni presenti, e invece…si è fatto festa senza nemmeno una istituzione in fascia tricolore, c’è stato un assessore arrivato a cerimonia cominciata, puntuali invece le rappresentanze di Polizia, Carabinieri e Finanza, presidi importanti nella lotta al crimine, anche alcuni sacerdoti, come don Baldassare Meli, quelli che più sentono l’impegno antimafia come impegno di riscatto. 

Giorni or sono a Castelvetrano un gruppo di giovani ha voluto sfilare in nome della legalità, sul palcoscenico anche gli attori di una famosa fiction antimafia, cosa che probabilmente ha agevolato la folta partecipazione, erano tanti, ma è stato taciuto il nome del capo mafia più potente del momento, cittadino castelvetranese, Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993. A Triscina alla consegna del bene confiscato ai mafiosi partannesi non c’era tanta gente e c’erano pochi giovani, ma il nome di Messina Denaro è stato detto e ripetuto, con l’augurio, pure, che «presto possa essere arrestato», cosa che detta, da queste parti, di solito provoca, a chi la dice, reazioni, case bruciate e proiettili intimidatori piortati direttamente sul posto di lavoro, come successo al consigliere Pasquale Calamia e al preside Franco Fiordaliso. 

«Credo che bisognerebbe gridarle di più queste cose – dice don Luigi Ciotti – ma assieme ad altro, a quello che di positivo c’è qui attorno in questa bella terra. Vorrei che si parlasse di più delle cose positive per mettere a nudo chi predica la legalità e che poi sono i primi a calpestarla». 

Quali sono le cose positive? 

«Ci sono cose che riempiono la bocca di tanti ma poi sono quelli che restano immobili e invece è importante “fare”, e fare conoscere le cose belle e positive, per esempio il frutto di un lavoro che non fa chiasso talvolta ma che è fondamentale e importante. In questo territorio vanno fatte emergere le cose positive, penso al lavoro dei magistrati, delle forze dell’ordine, ma anche quello di associazioni, gruppi, movimenti segmenti della Chiesa, uomini e donne che si spendono tutti i giorni senza chiasso e senza rumore per dare dignità, libertà, vita alle persone». 

Don Ciotti mercoledì scorso è  voluto essere presenta alla consegna di questa villetta confiscata. La gestirà una cooperativa. La struttura, benedetta da don Baldassare Meli, parroco della chiesa di Santa Lucia, è stata assegnata dal Comune di Castelvetrano alla società cooperativa sociale “Talenti onlus”, presieduta da Vincenzo Pugliese, che l’ha adeguata, con il sostegno anche dell’associazione sportiva Civitas e l’Avis, per utilizzarla come colonia estiva per minori e centro aggregativo aperto anche a piccoli gruppi esterni che potranno richiederne l’uso nei fine settimana.  “Il centro – spiega Vincenzo Pugliese – potrà accogliere gruppi sino a 15 persone e da settembre a maggio rimarrà aperto nelle ore pomeridiane. Nei mesi estivi saranno previste attività anche nelle ore antimeridiane». Per Angela Perucca, responsabile regionale di Lega cooperative, «utilizzare un bene confiscato alla mafia per i bambini rappresenta un valore aggiunto ma anche una grande responsabilità che si attua pure con l’educare le nuove generazioni alla legalità”. «Questa casa – dice don Ciotti – mi ricorda il Vangelo che ci dice che il Signore dove c’è accoglienza, relazione, ascolto, affettività, parla di casa, le altre volte parla di muri ed edifici; questa è casa perché qui si vuole fare in modo di seminare quella responsabilità dell’educare e l’educare alla responsabilità che aiuta a crescere e abituare fin da piccoli ad assumersi una quota di responsabilità. Questo è un Paese dove si parla tanto di legalità ma prima della legalità ci sta la responsabilità e ci sta anche la coerenza la prima fra tutti quella che tra ciò che si dice e quello che si fa, e alcuni provvedimenti partoriti dalla politica vanno in direzione opposta».  

Come dire che non è tempo di far festa come si sta facendo per questa confisca? 

«No, deve esserci festa e gioia – risponde don Ciotti – ma c’è anche consapevolezza che bisogna fare molto di più, non a parole ma con i fatti. Fondamentale quello che oggi si fa qui e si fa ogni giorno altrove, è un dovere restituire all’uso sociale, alla collettività, alla gente quello che è stato tolto con sopruso, con la morte e l’arroganza, speriamo anche che come previsto dalla Finanziaria del 2006 le confische comincino a colpire anche i corrotti, perchè tutto quello che è frutto di ingiustizia e illegalità criminale deve essere restituito alla gente». 

Resta sempre il segnale di una confisca nella terra del latitante Matteo Messina Denaro che però  non sembra considerato in modo adeguato. 

«Qui si salda l’etica e l’estetica. Il bello della natura, l’ambiente del mare e di una terra meravigliosa che è la Sicilia e si salda il bene, confiscare questi beni e restituirli all’uso sociale rappresenta la dimensione etica, si fa del bene. Usare queste proprietà frutto di violenza è il più grande schiaffo alla mafia, ma bisogna confiscarli proprio tutti questi beni e restituirle proprio tutti». «Ma aggiungo, spero che presto si “restituisca” alla collettività Messina Denaro e la Giustizia possa fare il suo percorso. Graditudine a chi giorno e notte lavora in questo senso, ma il problema è corresponsabilità di tutti i quanti, il problema non è solo Messina Denaro ma anche di chi qui si è riempita di omertà, bisogna rompere il silenzio e trovare il coraggio della denuncia». 

Mercoledì 23 giugno, don Luigi Ciotti è stato dapprima a Castelvetrano, poi a Calatafimi, dove ha incontrato i ragazzi del presidio «Peppino Impastato» che andarono a gridare «scemo» in faccia al mafioso Mimmo Raccuglia che si era rifugiato in una casa di Calatafimi dove la Polizia andò a snidarlo arrestandolo. Don Ciotti ha poi rivolto un messaggio ai magistrati che quel giorno avevano indetto una assemblea a Palazzo di Giustizia, “La Notte della Giustizia”, contro le riforme che il Governo vuole apportare al comparto. «Voi oggi – ha detto don Ciotti rivolto a giudici e pm – siete protagonisti per gridare alla politica e ai cittadini e io sono sono al vostro fianco. Qui la democrazia sta traballando fortemente e non fa bene alla democrazia togliere l’indipendenza alla magistratura, togliere le intercettazioni e mettere il bavaglio all’informazione, non si fa bene alla democrazia, c’è tanto buio e quindi voglio partecipare anche io a questa “notte della Giustizia” che mi fa ricordare le tante notti di magistrati e forze di Polizia e quelle che altri trascorrono per fare in modo che nel nostro Paese si possa costruire libertà, dignità e giustizia. Quanti amici hanno trascorso tante notti per lavorare all’inseguimento e alla cattura di latitanti, operazioni difficili per fare in modo che ci sia vera democrazia nel nostro Paese, per creare condizioni di libertà. La più grande umiliazione della persona umana è la privazione della libertà, la vita ci affida l’impegno della libertà,
dobbiamo impegnare la nostra libertà per liberare chi libero non è impegno di ciascuno di noi in questo senso sono con voi con “Libera” che proprio grida alla libertà. C’è bisogno di libertà, pace e giustizia». 

Il nostro Paese è attraversato da una forte crisi economica, ma Lei è convinto che non è solo crisi di “cassa”. 

«La crisi economica è quella “predicata” ma prima ancora è crisi politica e dell’etica, frutto di troppi individualismi ed egoismi. Questa crisi rinforza i poteri, i ricchi e chi ha più possibilità, ma c’è una fascia sempre più ai margini, si fa un gran parlare che tutto si risolve ma il cammino non è facile. Non ci interroghiamo sui suicidi di padri di famiglia, sul triplicarsi della vendita di antidepressivi, c’è troppa fatica e altrettanto fragilità, che restano non considerati».

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