Mafie senza nome
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Ne siamo ormai sicuri. La
trasformazione che da tempo la mafia ha compiuto vede sempre più
sfumati i suoi contorni, comportando una difficile percezione di cosa
sia e di come si presenti. Nella recente assemblea nazionale di
Libera a Savignano sul Panaro, è entrato su questo difficile tema
l’ex presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione.
Attualmente docente a L’Aquila, Forgione, ha fatto della sua
esperienza, anche universitaria, sulla storia delle organizzazioni
mafiose, un prezioso chiavistello per schiudere, ancora una volta,
l’immaginario di ciò che, in Italia ma non solo, ruota attorno alla
parola mafia. Oggi, 2010.
L’ex deputato calabrese ha posto una
premessa forte, ovvero la necessità, per comprendere l’attuale
situazione delle mafie nel Paese, di rileggere in modo diverso non
solo la loro intrinseca essenza quando tutto il contesto, economico e
sociale. Seppur vero in sostanza, quanto è obsoleto l’adagio secondo
cui le mafie sono un freno allo sviluppo? Per Forgione utilizzare
queste visioni del fenomeno ignora il fatto che sono, le mafie,
«fattori dinamici di
modernizzazioni» capaci di far entrare in circolo legale grandi
capitali. In un circuito sfumato dove la contrapposizione
legale/illegale risulta, di per sé, inutile.
Lo
stesso, sottolinea Forgione, «è possibile dirlo per il mondo della
politica». Un tempo si parlava di mondi differenti che si
avvicinano, ma pur sempre con due identità precise. Oggi il salto di
qualità delle mafie, prevede un accorpamento e uno scambio, quasi
“carnale”, che sfugge al rapporto e diventa una sorta di unicum.
E questo salto deve saperlo fare anche la politica, ovviamente in
meglio. Cosa auspicabile ma terribilmente lontana, secondo lo
studioso calabrese, «in una situazione di delega totale della
politica» che di fatto, sanatorie e condoni, legalizzano spesso
l’illegale. Oppure arrivano sempre dopo la magistratura, dimostrando
di sapere ma di non avere agito nel momento opportuno.
E
se un controllo, una riscossa non avviene dalla politica, l’invasione
diventa totale. E il controllo sociale che il controllo di alcuni
settori come la sanità garantisce, diventa un’arma devastante nelle
mani delle mafie. Quello sanitario, nella fattispecie, è un comparto
dove si concentrano ricchezza e potere. Fatturati enormi e consenso
politico. Un grande sistema di controllo e creazione del consenso.
L’ennesimo modo di stravolgere quel sociale, che non dobbiamo,
sottolinea Forgione, «perdere mai di vista». Un caso emblematico?
I centri commerciali, eleganti e luccicanti cattedrali nel deserto
capaci di sostituire i più comuni centri aggregativi: creatore del
degrado e soluzione allo stesso. Senza dimenticare la grande funzione
di riciclaggio che permette di svolgere.
Sullo
sfondo, nel disegno accorato tratteggiato da Forgione, una «borghesia
mafiosa» che costituisce la fonte primaria di collegamento coi mondi
della finanza, con i grandi centri urbani e commerciali. Possono da
Cosoleto, piccolo paese alle falde dell’Aspromonte, gli Alvaro
sbarcare a Roma? In centro? I grandi appalti della Salerno Reggio
Calabria non sono affidati a cosche ma il problema esiste? Quali
grande ditte hanno chiesto aiuto alla ‘ndrangheta? E perché una
scelta inquietante politicamente ha permesso (scudo fiscale,
intercettazioni) atti talmente chiari nella “non lotta alla mafia”?
Domande sicuramente pregnanti per una folla di persona ancora appese
a quella notizia, la sentenza di secondo grado su Dell’Utri, che
nelle prossime ore arriverà.
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