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Processo Dell’Utri: attesa per la sentenza

Di Lorenzo Frigerio il . L'analisi

È il giorno di Italia Slovacchia ai mondiali di calcio in corso di svolgimento in Sudafrica e mentre le vie della città si svuotano e gli italiani pensano a come organizzarsi al meglio per il tifo pomeridiano, i giudici della Corte d’appello di Palermo che si occupano del processo al senatore Marcello Dell’Utri lavorano alacremente in camera di consiglio, dove sono entrati da poco. Avrebbe sicuramente meritato una maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica italiana quanto sta avvenendo in queste ore a Palermo, ma così è e, anche se non ci pare, dobbiamo farcene una ragione…

Lo stesso senatore Dell’Utri ha preferito non partecipare all’udienza conclusiva di questa mattina e si è fatto rappresentare in aula dai suoi legali Nino Mormino e Alessandro Sammarco.

Nell’aula bunker di Pagliarelli, il procuratore generale di Palermo Antonino Gatto ha pronunciato con tono deciso la sua requisitoria finale e si è soffermato sul ruolo fondamentale dell’esito di questo processo per la storia recente dell’Italia. Un ruolo che non ha esitato a definire “storico” in un denso e vibrante passaggio della sua perorazione: “Dovete prendere una decisione storica per il nostro paese, non vorrei essere nei vostri panni. Voi potete contribuire alla costruzione di un gradino, salito il quale forse, e ripeto forse, si potranno percorrere altri scalini che potranno fare accertare le responsabilità che hanno insanguinato il nostro Paese. Oppure lo potete distruggere questo gradino. Non vi invidio”.

Gatto ha ricordato che, anche in appello, il processo al senatore si è svolto avvalendosi del supporto puntuale di documenti e intercettazioni e del vaglio, avvenuto in aula con tutte le garanzie previste dal codice di procedura, delle molte persone chiamate a deporre. È sbagliata e viziata da malafede, secondo il PG di Palermo, la visione di quanti ne minano la legittimità, dichiarando che tutta l’impalcatura accusatoria è basata sul racconto dei collaboratori di giustizia.

A tale proposito il magistrato è tornato sulla mancata ammissione al programma di protezione di Gaspare Spatuzza, già reggente della famiglia di Brancaccio e killer fidato dei fratelli Graviano. Durante la scorsa settimana dal Viminale era giunto il rigetto della richiesta di ben tre procure della Repubblica perché fossero concessi a Spatuzza i benefici previsti dalla legge. Alla base della decisione della Commissione, una opinabile valutazione della tardività delle dichiarazioni rese dallo stesso sul ruolo giocato nella stagione delle stragi da Berlusconi e Dell’Utri. Gatto ha ricordato che dalla difesa del senatore del PdL sono arrivate solo ingiurie e che, allo stato delle prove acquisite in primo grado e poi in appello, “il patto tra Dell’Utri e i Graviano è provato” e tanto basta perché anche la deposizione di Spatuzza ne esca rafforzata.

Nonostante questa convalida registrata nel corso di un processo così delicato, resta ancora irrisolta e foriera di ulteriori problemi la contraddizione per uno Stato che, da un lato, a livello amministrativo, ritiene che Spatuzza non possa godere del regime di protezione e, dall’altro, a livello processuale, ne apprezza il contributo all’affermazione della verità.

È inutile nascondersi che se Dell’Utri fosse condannato in appello, un peso di non poco conto nel far prevalere le ragioni dell’accusa lo si dovrebbe riconoscere alle dichiarazioni dell’ex mafioso e questo potrebbe avere profonde implicazioni anche nella riapertura delle indagini sulla strage di via D’Amelio e nell’accertamento della verità su quanto avvenne nel 1993, quando la mafia mise le bombe fuori dalla Sicilia. Peccato solo che in questo processo non abbia potuto deporre il figlio di Vito Ciancimino, Massimo.

Il PG ha avuto anche modo di sottolineare che non Dell’Utri non è sottoposto a giudizio per via delle sue amicizie e delle sue relazioni: “Non è contestato al senatore Dell’Utri essere andato al bar con il mafioso Gaetano Cinà, o pranzo con Vittorio Mangano, ma il significato di questi incontri. Se io bazzico con mafiosi come Virga, Fauci, Bontade, Teresi, Graviano bisogna chiedersi quale sia il mio mondo”.

Nella sua requisitoria, a supporto della lunga militanza in Cosa Nostra di Dell’Utri, Gatto ha anche ricordato l’incontro che si sarebbe svolto a Milano negli ultimi mesi del 1974 tra Berlusconi, Dell’Utri e i boss Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano e Francesco Di Carlo che avevano interesse a stringere una relazione permanente con l’imprenditore in ascesa.

È stato ribadito anche il ruolo strategico svolto da Vittorio Mangano, giunto al nord per proteggere la famiglia di Berlusconi dal rischio di un sequestro di persona, pericolo allora incombente.

Due vicende che servono all’accusa per testimoniare la lunga frequenza con i boss del duo Berlusconi – Dell’Utri e a smontare il teorema difensivo che individua nella discesa in campo di Berlusconi la ragione delle sue grane giudiziarie.

Gatto ha quindi concluso la sua requisitoria, domandando alla corte, presieduta da Claudio Dell’Acqua, la condanna per il senatore Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Condanna per la quale ha chiesto undici anni di carcere, due in più di quelli che vennero irrogati nel 2004, al termine del processo iniziato nel 1997. Il processo che si chiude oggi invece è durato quattro anni.

Subito dopo la parola è passata alla difesa. L’avvocato Sammarco ha contestato la fattispecie del concorso esterno e ha ribadito che il processo a Dell’Utri è un processo “creato dalla stampa”, dove anche i collaboratori di giustizia sono fonti inquinate. Negati anche i rapporti con Mangano così come li ha delineati l’accusa.

La replica più dura Sammarco l’ha però riservata al PG: “Il più grosso pistolotto l’ha fatto il pg, peggio di così non poteva fare. Devo fare un contro pistolotto: a nessun giudice è richiesto di fare la storia. Dovete applicare la legge e basta. Le conseguenze non riguardano il giudice, la prove dell’accusa è inesistente, quel poco che c’era, bagaglio di illazioni, castello di congetture che hanno fatto oggetto della sentenza di primo grado è caduto in appello. Anche il castello delle congetture è miseramente franato”.

C’è stato anche il tempo questa mattina per leggere una lettera di Carlo Marchese, un tempo in carcere con Spatuzza, che ha rivelato alla Corte quanto lo stesso gli avrebbe rivelato quando si trovavano detenuti insieme a Parma: “Mi ha confessato di essere stato protagonista della strage di via D’Amelio e mi ha parlato anche di Dell’Utri, Silvio Berlusconi (che non mi sta simpatico soprattutto da quando si vanta di aver inasprito il 41bis) e Massimo D’Alema”.

Alla richiesta della difesa di procedere ad una nuova audizione, la Corte si è  opposta e si quindi è ritirata in camera di consiglio.

E ora si attende la sentenza, che è prevedibile possa arrivare tra venerdì e domenica.  

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