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Dodici giornalisti, uno scrittore e una foto di cattivo gusto

Di Gaetano Liardo il . Interviste e persone

Dodici giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta rivolgono la propria indignazione a “Max” per un fotomontaggio che ritrae Roberto Saviano, minacciato dalla camorra, su un lettino da obitorio. Una brutta foto che fa venire in mente altre foto, purtroppo reali, di undici giornalisti italiani che, sfidando le mafie, all’obitorio ci sono finiti davvero. Dieci per la verità, perchè di Mauro De Mauro purtroppo, il corpo non è mai stato rinvenuto.

Dodici giornalisti, uno scrittore, una foto di cattivo gusto e sullo sfondo la situazione in cui si trova l’informazione italiana.

Nonostante il bavaglio che verrà, l’Italia è considerata un paese parzialmente libero. Un paese, cioè, dove i giornalisti non possono fare pienamente il loro mestiere altrimenti rischiano la vita. Ne sono ben consapevoli Michele Albanese, Giuseppe Baglivo, Giuseppe Baldessarro, Alessandro Bozzo, Filippo Cutrupi, Michele Inserra, Francesco Mobilio, Antonino Monteleone, Fabio Pistoia, Leonardo Rizzo, Antonio Sisca, Giovanni Verduci. Nomi che possono non dire niente ad un osservatore distratto, ma che fotografano la realtà di un mestiere diventato altamente pericoloso.

Ognuno di questi “sconosciuti” ha subito sulla propria pelle minacce, violenze, soprusi, per il semplice fatto di aver raccontato la realtà senza filtri e senza reticenze.

Tutti calabresi, questi giornalisti. Fanno il loro mestiere, senza per questo voler essere considerati eroi, ma consapevoli di correre dei rischi. Primo fra tutti quello di essere isolati. Scrivere di mafia e per questo essere marginalizzati significa essere esposti alla “rappresaglia” dei boss senza nessuna difesa.

Gli attacchi indirizzati a Saviano da Berlusconi non sono molto diversi da quelli subiti dai numerosi cronisti del nostro paese da parte del politico di turno. Se, come dichiarò Berlusconi, le mafie italiane sono seste per potenza ma prime per fama per colpa di scrittori come Saviano, lo stesso identico discorso può essere cucito addosso ad ogni singolo giornalista che, parlando di criminalità, mantiene la schiena dritta.

Perchè quando si parla di mafie non si può non parlare dei sistemi di complicità, protezione e affari che prosperano con esse. Perchè le mafie muovono enormi flussi di denaro, e il denaro compra sempre più politici. Quindi il giornalista ficcanaso, a tutti i livelli, rischia di rendere visibile quanto di illegale si muove all’interno di questo sistema di potere oscuro.

In una situazione già di per sé grave, dove il cronista è continuamente bersagliato e attaccato, dove le istituzioni fanno finta di non vedere e la politica diventa sempre più parte integrante di giochi criminali, si inserisce il bavaglio.

Tolte di mezzo le intercettazioni, spuntate le armi a magistrati e forze dell’ordine, censurate le notizie, molto probabilmente non ci saranno più giornalisti minacciati. O forse ci saranno, ma non se ne potrà più parlare.

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