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16 anni di occultamenti e depistaggi

Di Roberto Morrione il . L'analisi

Non a caso la nostra newsletter ha per titolo Verità e Giustizia. Due parole grandi come la realtà in cui viviamo, preziose come tutto ciò che è difficile da conquistare e facile da perdere, insostituibili per chi subisce lutti, violenze, negazione di diritti, insopportabili per coloro che dell’illegalità, nel segreto e nell’oscurità, fanno la base del potere e del personale arricchimento. 

Da Riccione, nei giorni del Premio dedicato a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, assassinati 16 anni fa a Mogadiscio, si è alzata chiara e forte la richiesta di verità e giustizia verso la magistratura, il mondo politico, il Capo dello Stato. Un agguato su commissione, per impedire che Ilaria facesse giungere all’opinione pubblica le notizie raccolte sul traffico d’armi e di rifiuti tossici tra l’Italia e la Somalia. Mancano i nomi dei mandanti e degli organizzatori di quella ‘esecuzione’, ma questa prima e parziale verità è stata riaffermata dal giudice delle indagini preliminari di Roma, Emanuele Cersosimo, che ha tenuta aperta l’inchiesta quando la Procura chiedeva di archiviarla. Sedici anni di vergognosi depistaggi, occultamento di fatti, falsi testimoni, inchieste giudiziarie e investigative insabbiate o abbandonate a metà, uomini dei servizi carichi di menzogne e omertà. Nella ricerca della verità si sono invece prodigati giornalisti appassionati e combattivi, con inchieste, réportages televisivi, libri che hanno ricostruito tenacemente i fatti, per fermarsi alla soglia dei mandanti, che solo la giustizia avrebbe potuto oltrepassare. Inviati che la vergognosa relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare di Inchiesta presieduta da Carlo Taormina, nell’intento di occultare la verità, nel 2006 tentò addirittura di criminalizzare, accusandoli di avere falsato la vicenda. 
Un’inchiesta, quella di Ilaria, che coglieva la commistione fra il potere politico della Cooperazione, allora gestita da personaggi vicinissimi a Bettino Craxi, faccendieri, organizzazioni mafiose, servizi segreti, in un miliardario traffico d’armi e rifiuti tossici verso la Somalia. Armi per alimentare una devastante guerra civile e rifiuti anche radioattivi sepolti a terra o scaricati in mare, ad avvelenare la sfortunata popolazione del Corno d’Africa. Una commistione di interessi che ritroviamo anche oggi paurosamente diffusa, mutati alcuni dei protagonisti, ma fino a un certo punto se consideriamo il peso del ‘craxismo’ nella nascita di Forza Italia e dell’impero televisivo berlusconiano, ma con un’identica cornice di corruzione, patti segreti che piegano la cosa pubblica a interessi privati, sofisticate elusioni delle leggi, come quelle messe in atto dalla cricca degli appalti pubblici e dei grandi eventi, presenze di clan mafiosi. Il tutto attraversato da parti dei servizi segreti che invece di difendere la legge della Repubblica coprono le illegalità dei potenti. 
La lezione è la stessa, dai tanti misteri che hanno avvolto e forse deviato la storia d’Italia, alle stragi mafiose degli anni 90, fino alla schedatura degli avversari politici del premier e di giornalisti indipendenti svolta dai vari Pollari e Pompa. Come allora il segreto di Stato è pronto a coprire le deviazioni del potere e non c’è alle viste alcun esito sul modello dello scandalo Watergate, ma al contrario le innumerevoli leggi ad personam su misura dei processi che coinvolgono l’uomo più potente del Paese. Fino a quella legge sulle intercettazioni che Berlusconi vuole imporre, nonostante la rivolta di magistrati, giornalisti e società civile, le contraddizioni nella maggioranza da Fini a Bossi, l’altolà del Capo dello Stato, l’allarme preventivo dell’Europa e dell’amministrazione americana. 
Il bavaglio alla libertà di stampa e i paletti che questa legge porrebbe all’azione dei pubblici ministeri colpirebbero i pilastri costituzionali del controllo sociale sul potere. Si rafforzerebbe così l’impunità degli abusi e insieme il silenzio dell’opinione pubblica, una ferita mortale inferta proprio alla ricerca della verità e alla domanda di giustizia. Tutti, dunque, dobbiamo combattere questa battaglia, per cercare di vincerla.

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