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Castelvetrano: mafia e pensieri anarchici per confondere le acque

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Era il ristorante di Selinunte dove gli investigatori che gli danno la «caccia» da 17 anni dicono che spesso era lì che il giovane Matteo Messina Denaro si faceva vedere. Non era all’epoca ancora latitante ma già comandava dentro Cosa Nostra, e quel locale era peraltro quello di un amico per lui importante, Peppe Fontana. Ieri per decisione del Tribunale delle Misure di prevenzione di Palermo è stata sequestrata dal Gico della Finanza la quota di poco oltre 5 mila euro posseduta da Fontana all’interno della società che gestisce questo ristorante di Marinella di Selinunte, «Baffo’s». 

Il provvedimento di sequestro riguarda anche un’azienda con sede a Castelvetrano (via Ugo Bassi), anch’essa di ristorazione e un appartamento nel centro di Castelvetrano, sempre intestati a Fontana, beni per complessivi 1 milione e mezzo di euro. Contro Fontana ci sono due sentenze di condanna per traffico di droga e associazione mafiosa pronunciati dai Tribunali di Catania e Palermo e dalle Corti di Appello di Reggio Calabria e Palermo, condanne definitive per 28 anni. Il sequestro è scaturito dalle indagini dei gruppi speciali della Finanza che hanno setacciato conti e proprietà, riuscendo a dimostrare che quei beni erano frutto dell’attività criminosa che Fontana ha svolto, così dicono le sentenze definitive, potendo stare fianco a fianco con i Messina Denaro, Francesco, il patriarca della mafia belicina, morto nel 1998 e Matteo, l’erede che capeggia la potente mafia trapanese. 

Un filo unisce Fontana a Matteo Messina Denaro, ed il filo degli affari, dei traffici illeciti, ma è anche il «filo» del «pensiero». Fontana mentre faceva giù e su per la Svizzera, la Yugoslavia, per portare oltralpe reperti artistici che con l’attività di frodo la mafia belicina andava trovando, e fare arrivare a Castelvetrano sofisticate armi, anche una speciale maschera a infrarossi, si dedicava a sviluppare pensieri anarchici, in una garconierre che a Selinunte avrebbe diviso con Messina Denaro durante una perquisizione i poliziotti trovarono una fornita biblioteca. Fontana come Messina Denaro si ritiene un perseguitato, se la prende con magistrati e giornalisti che scrivono delle sue «prodezze», anzi Fontana, dal carcere fa sapere di ritenere che i castelvetranesi che lo conoscono dinanzi a questi sequestri che subisce «possono solo sorridere».  Fontana sostiene di non conoscere la mafia ma una delle amanti di Messina Denaro, Joan Francisca raccontò ai pm di averlo conosciuto in un Hotel a Basilea e in quell’occasione lui gli confidò di «essere un mafioso» e che il suo capo era «Matteo Messina Denaro» (sentenza maxi processo Omega).

Per i gudici non raccontò bugie a quella donna, perchè Peppe Fontana «faceva parte di una cerchia di persone insospettabili», quel gruppo che consentì a Messina Denaro all’inizio della sua latitanza, nel 1993, di «coniugare la tradizionale efficienza militare della cosca a una maggiore possibilità di operare nel settore economico». Nel 1993 fu la Squadra Mobile di Trapani ad arrestare Fontana per l’operazione antridroga internazionale «Onig», poi fu un susseguirsi di inchieste, le ultime sono quelle sui traffici di arte nei quali è imputato dinanzi alla magistratura romana un altro castelvetranese eccellente, Gianfranco Becchina. Sullo sfondo di questa storia il tentato furto del «Satiro» che Messina Denaro aveva ordinato alla sua «banda» dei soliti noti, che si spacciano per «perseguitati».

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